Quando guardiamo gli oggetti e le persone intorno a noi attraverso i nostri occhi, abbiamo una percezione uniforme di tutto ciò che ci circonda: tutto risulta a fuoco e nitido quando osserviamo qualcosa. Questo perché i nostri occhi effettuano una focalizzazione continua di ciò che stiamo osservando adattandosi istantaneamente anche ai repentini cambi di “inquadratura”. Se però facciamo attenzione, possiamo renderci conto come le immagini periferiche (quelle che vediamo con la coda dell’occhio per esempio) sono sfocate: ciò significa che non tutto è nitido ma “solo” ciò che stiamo puntando.
La macchina fotografica si comporta nello stesso modo (o meglio, l’obiettivo): in una scena viene messa a fuoco solo una parte della scena stessa (non tutta). Questo perché solo un piano posizionato ad una determinata distanza dal sensore (dipende ovviamente dalle lenti delle ottiche), detto piano di fuoco critico, può essere messo a fuoco. Più ci allontaniamo da questo piano, più i particolari risultano sfocati fino a confondersi del tutto tra di loro.
L’area di messa a fuoco può essere più o meno larga: quest’area è definita profondità di campo. Anche la profondità di campo è direttamente legata alla tipologia di lenti che stiamo utilizzando e sarà oggetto di un articolo ad hoc.
Le macchine fotografiche digitali (sia le compatte che le reflex) hanno tre tipi di messa a fuoco: fissa, automatica e manuale.
Messa a fuoco fissa
Sono le macchine usa e getta: la messa a fuoco è determinata in fase di realizzazione della stessa e spesso sono tarate per mettere a fuoco tutto cisò che è al di la di una certa distanza, più o meno dai 2 metri all’infinito. Essendo gli obiettivi a lenti fisse, non è possibile agire sulla messa a fuoco dall’esterno.
Messa a fuoco automatica (autofocus) – AF
Tipica di alcune compatte entry level o degli smarphone di prima generazione, l’autofocus mette a fuoco la scena al centro dell’obiettivo stesso. Alcune digitali di medio livello permettono di modificare l’area di messa a fuoco tramite il menu opzioni.
Messa a fuoco manuale – MF
La messa a fuoco manuale è quella tipica delle reflex: è l’utente a mettere a fuoco girando la ghiera della messa a fuoco sull’obiettivo in modo da decidere in autonomia cosa è “importante” nella nostra foto.
Non tutti gli obiettivi sono uguali: a seconda della tipologia, del prezzo o della marca possiamo trovare differenti lunghezze focali nonché gamme di focalizzazioni differenti. Avremo obiettivi in grado di mettere a fuoco a pochi centimetri dall’obiettivo stesso o obiettivi con una profondità di campo infinita (ma con messa a fuoco iniziale lontano dall’obiettivo stesso).
Anche l’area di messa a fuoco può essere differente, specie nelle reflex o nelle compatte di alto livello: l’area di messa a fuoco non è più unica come specificato poc’anzi ma ne esistono più di una ed è prerogativa della macchina fotografica (viene scelta sempre la più vicina) o del fotografo decidere quale utilizzare. Nelle reflex le aree di messa a fuoco sono rappresentate da dei rettangoli sempre visibili nel mirino ottico, con quello (o quelli, nelle full frame) di messa a fuoco in uso marcato in modo differente.
Come funziona la messa a fuoco automatica
Esistono due differenti sistemi per ottenere la messa a fuoco: attivo e passivo.
Il sistema di messa a fuoco attivo lavora in due fasi: prima di tutto viene misurata la distanza. Questa può essere misurata con gli ultrasuoni (la fotocamera emette un ultrasuono e calcola il tempo necessario perché lo stesso torni indietro per riflessione) o per mezzo di luce infrarossa (la camera scansiona la scena con gli infrarossi e quindi calcola l’angolo di riflessione della luce che colpisce il soggetto – effettua insomma una triangolazione per definire la distanza da esso). La messa a fuoco attiva è spesso montata direttamente sull’ottica: un processore si occupa di effettuare i calcoli e quindi di comandare un servomotore collegato alle lenti (il tipico rumore di messa a fuoco che sentiamo ogni qual volta inquadriamo una scena) che permette di tarare la messa a fuoco sull’oggetto che ci interessa.
Un sistema attivo ad infrarosso ha vantaggi e svantaggi: un vantaggio è la possibilità di mettere a fuoco aree scarsamente illuminate (al limite anche al buio). Tra gli svantaggi sicuramente troviamo la possibilità di ingannarlo tramite vetri o superfici trasparenti, l’impossibilità di mettere a fuoco il nero (che assorbe l’infrarosso) nonché la difficoltà nel mettere a fuoco se ci troviamo vicini a sorgenti si infrarosso.
Anche per quello ad ultrasuoni ci sono vantaggi e svantaggi: di sicuro anche questo sistema può mettere a fuoco in condizioni di buio totale, in presenza di nero e di fonti di luce infrarossa. Tra gli svantaggi ha però il corto raggio (non va oltre i 6/7 metri), la difficoltà nel mettere a fuoco soggetti vicini, problemi nel caso di superfici riflettenti nella scena nonché una scarsa velocità rispetto ai sistemi ad infrarosso.
Il sistema di messa a fuoco passivo si basa invece sul rilevamento del contrasto o della fase.
Tipico delle compatte, la misurazione del contrasto consiste nel determinare quando la massima messa a fuoco corrisponde al massimo contrasto. La macchina fotografica, in pratica, scatta più fotografie del soggetto e le compara, fino a capire quale è quella a massimo contrasto. Facciamo un esempio pratico con un casco di banane:
Il processore memorizza la prima scena e ne misura il contrasto
La lente si muove e il processore continua a misurare il contrasto, confrontando il contrasto di prima e quello di adesso, continua a muovere la lente
Il processore rileva che il contrasto ora è buono, la lente continua comunque a muoversi per misurare
Il contrasto è peggiorato quindi il processore ordina alla lente di tornare indietro
Il processore adesso decide che il contrasto è perfetto, ferma il movimento della lente e permette lo scatto
Questo sistema ha ovviamente la limitazione nel buio: funziona egregiamente finquando c’è luce a sufficienza per perdere di efficacia con l’oscurità. Spesso, in mancanza di luce, la macchina fotografica non è in grado di ottenere la messa a fuoco e non vi permette di scattare. Il principale svantaggio di questo sistema è però la lentezza.
La misurazione della fase, infine (tipico delle full frame ma anche di half frame quali la Nikon D5000) è quella più sofisticata: la luce viene divisa in due parti dall’obiettivo. Le due “componenti” vengono misurate dall’autofocus che comanda i motori delle lenti in modo da far risultare equivalenti le due letture. Sistema molto veloce e preciso, entra in crisi come per il sistema a contrasto con scarsità di luce. Problema che però viene “bilanciato” da una serie di fasci di luce sparati dalla macchina fotografica verso il nostro soggetto (la luce che normalmente è posta sotto il pulsante di scatto): con questa illuminazione artificiale l’AF riesce ad effettuare la misurazione e quindi darci una corretta messa a fuoco in tempi brevissimi. La misurazione di fase entra in crisi anche nel caso di scene fortemente contrastate: in questi casi non si può fare altro che “puntare” verso un oggetto meno contrastato e vicino al soggetto della nostra foto, quindi bloccare la messa a fuoco.
Modalità di messa a fuoco AF
La modalità AF (autofocus) ha a sua volta tre modalità differenti di funzionamento: una singola, una continua ed una «via di mezzo».
La modalità di messa a fuoco singola (AF-S su Nikon, ONE SHOT su Canon) è quella utilizzata per lo più su soggetti statici o per i ritratti. Si preme il pulsante di scatto fino a metà corsa per ottenere la messa a fuoco e quindi si preme fino a fine corsa per ottenere la fotografia finale.
Nella modalità di messa a fuoco continua (AF-C su Nikon o AI SERVO su Canon) la macchina fotografica effettua la messa a fuoco in continuazione. Questa verrà “fermata” solo quando verrà premuto per metà il pulsante di scatto. Questa modalità è utile per fotografare soggetti in movimento in quanto non v’è perdita di tempo per effettuare la messa a fuoco una volta premuto il pulsante di scatto (è già “pronta”), ma è passibile di errore di messa a fuoco: se non siamo rapidi ad effettuare fisicamente la foto (premere il pulsante) rischiamo un fuori fuoco.
Con la modalità di messa a fuoco continua, la fotocamera continua a mettere a fuoco, bloccando la messa a fuoco solo quando si preme a metà il pulsante di scatto; è una modalità utile per scattare foto a soggetti in movimento, seguendo nel mirino il movimento del nostro soggetto. Tuttavia questa modalità presenta dei problemi, primo tra tutti il fatto che tra la pressione del pulsante di scatto e l’effettivo scatto della foto passano alcuni istanti, causando immagini fuori fuoco (in quanto il movimento continua a muoversi).
La modalità “via di mezzo” (AF-A su Nikon e AI FOCUS su Canon) permette invece una via di mezzo in quanto, in questa modalità la macchina fotografica “decide” al momento dello scatto cosa fora: essa sceglie autonomamente tra una delle due modalità precedentemente descritte dopo aver analizzato la scena da fotografare. Se ci sono soggetti fermi viene impostato l’auto-focus in messa a fuoco singola, se ci sono soggetti in movimento viene impostata invece la messa a fuoco continua.
Ovviamente non sempre e non in tutti i casi la messa a fuoco AF è efficace: ci saranno sempre delle situazioni in cui l’autofocus ci creerà problemi e sarà necessario passare alla messa a fuoco manuale. Ricordo inoltre che esistono tutta una serie di obiettivi per i quali non è possibile avere l’autofocus: si tratta di “pezzi” non troppo costosi e particolari quali gli obiettivi catadiottrici: trovare un catadiottrico con la messa a fuoco elettronica è si possibile ma si tratta pezzi più unici che rari (d’altronde, per la funzione a cui devono assolvere, l’incremento di prezzo per l’aggiunta di elettronica può sembrare fuori luogo).
L’AF fallisce poi se dobbiamo fotografare una parete o una superficie monocromatica, senza dimenticare situazioni di scarsa luminosità. Ma l’Autofocus può andare in errore (o puntare il soggetto sbagliato) anche quando abbiamo più soggetti sullo stesso piano: quale dei tanti deve essere messo a fuoco?
Un altro caso dove spesso utilizzo la messa a fuoco manuale è nelle gare sportive dove l’atleta deve necessariamente passare in un determinato luogo quale il salto con l’asta o quello in lungo: conosciamo quasi al millimetro il punto in cui l’atleta staccherà da terra e possiamo mettere a fuoco manualmente su quel punto. Ciò ci permetterà di recuperare istanti preziosi (tutti quelli “sprecati” dall’AF) e centrare meglio l’atleta nel nostro scatto.
Come ultima nota ricordo che giocare con la messa a fuoco può creare degli effetti molto particolari e molto apprezzati nelle fotografie: l’effetto Bokeh per esempio si ottiene sfocando pesantemente ciò che non è in primo piano.
Ovviamente, per poter padroneggiare una lente, c’è una cosa che il fotografo deve aver appreso: padroneggiare l’obiettivo in uso. Non tutte le ottiche sono uguali per esempio nel tempo di risposta alla richiesta di messa a fuoco (dipende dal motore interno) così come differenti sono le qualità e le eventuali aberrazioni che possono essere prodotte. E non dimentichiamoci che un altro elemento molto importante è la distanza iperfocale: voi sapete qual è quella dei vostri obiettivi?