Werner Bischof Adalbert nacque a Zurigo il 26 aprile 1916 da una famiglia benestante e, all’età di appena 6 anni, si trasferì nella cittadina di Waldshut, in Germania, insieme alla sua famiglia (suo padre gestiva una fabbrica farmaceutica).
Nel 1932 entrò nella Scuola di arti applicate di Zurigo per seguire il corso di fotografia tenuto dal Hans Finsler (filone della “nuova oggettività). Per questo motivo, i primi lavori di Werner sono legati alla fotografia realistica e di modo, in particolare le nature morte (con una certa predilezione per le conchiglie) e le piante.
Finito il servizio militare (1939), si trasferì a Zurigo-Leimbach dove aprì un laboratorio fotografico (che serviva anche da alloggio). Durante questo periodo collaborò con la rivista Graphis e con la casa editrice Amstutz e Herdeg per la quale realizzò eccellenti manifesti ed immagini di moda. Lavorò inoltre con l’organizzazione dell’Esposizione Nazionale Svizzera del 1939.
Nello stesso anno si trasferì a Parigi nella speranza di divenire un pittore. Esperienza molto breve, in quanto fu richiamato quasi subito nelle file dell’Esercito Svizzero. Dopo due anni di servizio militare, rimase in Svizzera dove aprì un nuovo studio fotografico.
Nel 1942 entrò a far parte, in qualità di collaboratore fisso quale fotografo di moda, della rivista svizzera “Du”. Negli anni seguenti cominciò la conversione che lo porterà a divenire uno dei fotografi documentaristi più importanti. Iniziò infatti ad interessarsi alla fotografia di reportage, in particolare legata alla guerra. Dal 1944 al 1945, intraprese un viaggio in bicicletta attraverso la Germania meridionale e successivamente attraverso l’Europa. Molto famose sono le fotografie, insieme a quelle del suo compagno di viaggio ed amico Emil Schultness, scattate nelle disastrate Francia, Germania e Olanda.
Tra il 1946 e il 1948 visitò Colonia, Berlino, Lipsia e Dresda come inviato della rivista Du. Per conto dell’associazione benefica “Schweitzer Spende” documentò, alla fine del 1946, la costruzione di un villaggio prefabbricato per aiutare gli orfani di guerra in Grecia.
Nel 1948, fu fotografo alle Olimpiadi per la rivista americana Life.
Continuò quindi a focalizzare la propria attenzione sugli aspetti drammatici della passata guerra evidenziando tuttavia la speranza di rinascita tramite gli occhi della popolazione. Visitò inoltre paesi quali Ungheria, Romania, Cecoslovacchia, Polonia e Finlandia.
Nel 1949 si recò in Inghilterra dove sposò Rosellina Mandel cominciò a lavorare per il Picture Post e l’Observer. Successivamente e nello anno entrò a far parte della famosissima agenzia Magnum Photos insieme a fotografi del calibro di Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David Seymour.
Visitò nello stesso periodo l’Italia e l’Islanda e nel 1950 nacque suo figlio Marco.
Dal 1951 al 1952 si recò in India per conto dell’agenzia Magnum e raggiunse la notorietà internazionale grazie al suo servizio fotografico sulla carestia in Bihar.
Successivamente fu in Corea a documentarne la guerra, ed a Okinawa (Giappone) come inviato di Paris-Match.
Nel 1953 la rivista Du pubblicò un intero reportage a firma Bishof: “Gli uomini dell’estremo Oriente”. Contestualmente fu organizzata una mostra nella città di Zurigo.
Nel 1954 fu in Messico per poi andare a Lima e a Santiago del Cile. Da lì si recò a Cuzco, in Perù, e visitò il sito Inca di Machu Picchu. Dopo il suo ritorno a Lima, viaggiò con un geologo verso l’Amazzonia. Morì all’età di soli 38 anni (1954) finendo in un burrone a San Miguel nelle Ande. Qualche giorno dopo nacque il suo secondo figlio, Daniel.
Alcune delle sue fotografie sono senza tempo. Bishof è diventato non solo una leggenda per la sua tragica e prematura scomparsa, ma anche e soprattutto per il suo talento e la sua umanità che ha dimostrato durante tutta la sua vita.
La leggenda vuole che l’ultima immagine scattata sia quella del ragazzo che suona il flauto, rimasta un’immagine iconica.