Vivian Maier fu una talentuosa fotografa di strada, autodidatta, che ha inconsapevolmente dato vita a numerose opere d’arte, nel corso dei lunghi anni in cui faceva di mestiere la baby-sitter.
Vivian era una donna dallo sguardo impenetrabile, i lineamenti mascolini, l’espressione seria ed impassibile, sempre predominante nei suoi frequenti autoscatti. Questa sconosciuta artista era solita indossare giacche di taglio maschile, gonne lunghe, scarpe maschili ed un grande capello. Amava il gelato al caffè, collezionava libri d’arte, ritagli di giornale ed amava il teatro che frequentava, soprattutto nei primi tempi del suo rientro a New York, per imparare la lingua inglese.
Vivian era una persona schiva, dalle abitudini frugali, amava viaggiare e passeggiare da sola ed era dedita soprattutto alla cura dei bambini ed alla fotografia. Gli adulti avevano un rapporto instabile con lei: la consideravano una persona fredda, altezzosa, i vicini di casa (quando Vivian era già abbastanza avanti negli anni) la descrivevano come una persona aggressiva con piccole manie ossessive. Tutt’altra storia invece con i bambini che la adoravano, tanto da arrivare a paragonarla a Mary Poppins. Per loro Vivian organizzava escursioni, gite, li portava con sé a teatro ed inventava giochi sempre nuovi.
Della vita privata di Vivian non sono state trovate notizie, la sua famiglia erano i bambini e la sua compagna di vita era una Rolleiflex con cui immortalava il mondo che la circonda. Nel suo tempo libero, Vivian, amava passeggiare per le strade di Chicago ritraendo, per la maggiore, le persone che incontrava e che in qualche modo la colpivano. Il suo è uno stile da ritrattista classico, i suoi soggetti erano per lo più bambini, emarginati, persone comuni catturate in momenti quotidiani della vita di città.
Il fulcro della fotografia di Vivian erano gli sguardi e le ombre: la Rolleiflex fungeva da intermediaria fra lei ed il mondo, coglieva quelle sfumature della semplicità quotidiana che sovente sfuggono a chi guarda fuggevolmente. Le foto di Vivian erano permeate di simbologia: i dialoghi sostituiti dagli sguardi ne evidenziavano una forte solitudine ma anche un desiderio di andare oltre le parole, la macchina fotografica sempre presente negli autoscatti o simbolicamente in forma di cerchi (specchi soprattutto) come a voler evidenziare il fatto che la Rolleiflex fosse quasi un terzo occhio per la fotografa.
Non sono stati trovati diari, nè scritti di sorta, né familiari in vita che potessero dare un contributo importante alla ricostruzione della sua vita e tutto ciò che si è saputo lo si deve alle indagini di John Maloof, l’uomo che scoprì il talento di Vivian Dorothea Maier.
1926, a New York nacque Vivian Maier, da due genitori ebrei: la francese Maria Jaussaud e l’austriaco Charles Maier. Decisero di trasferirsi in Francia quando Vivian era ancora piccola, nel paesino alpino di Saint Bonnet en Champsaur. Il periodo dell’infanzia di Vivian fu segnato probabilmente da violenze domestiche, che incisero sul suo carattere e dall’abbandono della famiglia da parte del padre (1930). In quello stesso anno Vivian e sua madre divisero l’appartamento con Jeanne J, Bertrand, ritrattista, probabilmente il primo contatto della bambina con il mondo della fotografia.
Dopo un ignoto percorso di studio, Vivian a venticinque anni decise di ritornare a New York, dove inizialmente lavorò come commessa.
Si traferì a Chicago nel 1956 dove per quarant’anni svolse il mestiere di tata, di cui diciassette circa trascorsi con la famiglia Gensburg.
Negli anni sessanta Vivian, viaggiò spesso durante le vacanze (Manila, Bangkok, Pechino, Egitto, Italia e il sud-ovest americano) probabilmente grazie al ricavato della vendita di una fattoria di famiglia.
Nel 1972decise di lasciare i Gensuburg, per trovare lavoro presso altre famiglie e nel 1987 fu assunta dagli Usiskin dove decise di lasciare gran parte delle sue cose comprese: foto, stampe, filmati e rullini non sviluppati. Si sa poco degli ultimi anni della sua vita, tranne che finì con il restare senza soldi e che dovette vendere molte delle sue cose per pagare i vari debiti.
Nel 2008, scivolata su un terreno ghiacciato, Vivian sbattè violentemente la testa e non si riprese più. Si presentarono ad aiutarla i bambini Gensuburb che lei anni prima accudì, trovandole una casa di riposo ed assistendola. Nel 2009, Vivian morì ad 83 anni.
Contemporaneamente all’incidente occorso, il suo materiale fotografico (circa 150.000 negativi) venne in parte acquistato da John Maloof, uno storiografo che nel tentativo di ricostruire la storia del quartiere Portage Park partecipava alle aste dove si vendevano vecchi box ed archivi.
Maloof mise su una discreta collezione con l’intento iniziale di rivenderla a qualche collezionista. Dopo aver messo alcuni lavori di Vivian in un blog fu contattato da Allan Sekula, critico di fotografia, che gli fece constatare l’effettivo valore di queste opere d’arte. Maloof incominciò ad interessarsi alle foto di Vivian contattando altri acquirenti di varie aste in cui erano state vendute altre sue foto. Decise quindi, nel 2009, di cercare Vivian Maier scoprendo il suo necrologio.
Da allora Maloof si attivò per dare il giusto riconoscimento al talento artistico di Vivian: curando diverse raccolte fotografiche edite nel 2001 e nel 2012, girando un lungometraggio con la collaborazione di Charlie Siskel dal titolo “Finding Vivian Maier”, contribuendo alla realizzazione di un documentario diretto da Jill Nicholls ed organizzando mostre ed eventi in giro per il mondo, fra cui un’esposizione italiana, l’unica, dal titolo “Lo sguardo Nascosto” alla Galleria dell’Incisione di Brescia.