I sensori all’interno di fotocamere digitali sono, in genere, piatti. La realizzazione di un sensore piatto è ovviamente legato a problemi principalmente produttivi e non qualitativi, in quanto un sensore curvo garantirebbe una maggiore sensibilità, una migliore qualità dell’immagine nonché permetterebbe di utilizzare delle lenti di costruzione più semplici.
Qualche tempo fa, al VLSI symposium del 2012, Kazuichiro Itonaga (Sony device Manager) ha mostrato un sensore full-frame curvato, nonché una sua versione ridotta (un 2/3”), sempre curvo. Il primo sensore è ovviamente destinato a reflex di alto livello, mentre il secondo è dimensionato in modo da poter essere ospitato in macchine fotografiche compatte o addirittura smartphone di alto livello.
Nella presentazione non è stato mostrato il processo produttivo, ma da quanto si è potuto capire, il sensore è stato creato piatto, e solo successivamente, tramite l’utilizzo di una macchina ad hoc, è stata aggiunta la curvatura ed un substrato di ceramica la cui funzione è quella, appunto, di fornire rigidità al sensore e quindi mantenerlo curvato nel tempo.
Perché un sensore curvo?
In poche parole, un sensore curvo è progettato per contrastare la curvatura di campo (noto anche come curvatura di campo di Petzval) associata alenti semplici accoppiate con piani o sensori piatti. La curvatura di campo è legata al fatto che la lunghezza focale effettiva dei raggi luminosi diminuisce man mano che i raggi luminosi si allontanano dall’asse ottico della lente (quindi verso l’esterno dell’obiettivo, per intenderci, essendo l’asse ottico della lente la linea immaginaria perpendicolare alla lente stessa che passa per il suo centro esatto).
In altre parole, più raggi luminosi lontani dall’asse ottico abbiamo, più si sposta in avanti il piano focale (cadendo in pratica alle spalle del sensore stesso e mettendo fuori fuoco quei raggi luminosi).
Nell’immagine sopra si vede come la superficie piana del sensore è immaginata come curva (e chiamata appunto superficie di Petzval) e non come piana (il piano teorico che si vede tutto a destra nel disegno).
I produttori di lenti fanno di tutto per combattere la curvatura di campo con l’introduzione di elementi disegnati ad hoc (avete presente la curvatura barilotto? ecco, è uno delle distorsioni che vanno corrette!). Inoltre, questi elementi disegnati ad hoc spesso introducono altre aberrazioni: per esempio c’è un compromesso ben noto tra l’astigmatismo e la curvatura di campo.
Sony, quando ha realizzato il sensore curvo, si è posta una domanda molto chiara: che succederebbe se invece di lavorare per correggere la curvatura di campo la sfruttassimo introducendo una curvatura reale nel sensore invece che immaginarla solamente? L’uso di sensori curvi permetterebbero progettazione ottiche più semplici dal momento che i raggi di luce che penetrano nell’obiettivo da angolazioni oblique non devono essere corretti per essere proiettati su una superficie piana.
Un sensore curvo, inoltre, permetterebbe di evitare il problema della riduzione di luminosità in prossimità della periferia del sensore, migliorando la raccolta della luce ai bordi dello stesso, dato che la luce colpisce i fotositi con un un angolo obliquo inferiore rispetto ad un sensore piano (per ovviare al problema, attualmente, si tende a utilizzare fotositi più grandi – e quindi in grado di catturare più luce – ai bordi del sensore). Un sensore curvo permetterebbe di incrementare di due volte la raccolta di luce ai bordi del sensore e di 1,4 volte al centro del sensore stesso. Quest’ultimo incremento è dovuto ad una migliore capacità di raccogliere i raggi di luce che entrano obliqui dalla parte periferica della lente. Come si può ben immaginare, l’adozione di un sensore curvo permetterebbe l’utilizzo di lenti più semplici, più veloci, più brillanti.
Sony ha inoltre affermato che il processo di piegatura migliora le prestazioni basilari del sensore: la piegatura del sensore incrementa il gap della banda di energia oltre a ridurre la corrente residua (ovvero quel segnale elettronico che viene letto in assenza di luce che colpisce il sensore – ovvero il rumore di fondo). Questi due fattori hanno ovviamente un impatto positivo sulla qualità finale dell’immagine catturata.
Come si nota dal disegno sopra riportato, la seconda delle due schematizzazioni assomiglia tantissimo ad un occhio umano. In sensore curvo, infatti, può anche essere pensato come una forma di biomimetica. Itonaga stesso ha dichiarato che il livello di curvatura raggiunto nel nuovo sensore di Sony è simile a quello trovato nell’occhio umano. L’occhio umano ha una lente relativamente semplice ed una superficie curva fotosensibile (la retina).
Attenzione però ad un problema intrinseco: un sensore con una data quantità di curvatura deve essere abbinato ad una particolare lente, tale che la curvatura corrisponde al campo di curvatura intrinseca di quella particolare lente. Peccato che il campo di curvatura intrinseca cambia al cambiare della lunghezza focale e dell’apertura. Ciò significa che tali sensori curvi probabilmente possono essere utilizzati solo con ottiche fisse o comunque con delle limitate escursioni in termini di zoom e apertura (Sony stessa ha dichiarato che questi sensori verranno eventualmente accoppiati ad uno zoom digitale molto esteso, proprio a compensare il problema della mancanza di zoom ottico).
Detto questo, il potenziale per la realizzazione di obiettivi più semplici a lente fissa è abbastanza convincente: è interessante notare come Sony, praticamente in contemporanea con la presentazione del sensore curvo, ha ottenuto un brevetto per una serie di lenti estremamente semplici tra cui una 35 mm f/1.8 con 4 elementi in 3 gruppi, illustrato di seguito.
Ultima nota: Sony non ha inventato il sensore curvo, ha semplicemente portato a dimensioni “tascabili” ciò che è stato fatto sul telescopio spaziale Kepler che è, appunto, curvo.