Frank Horvat, uomo sensibile rapito dall’arte in tutte le sue forme, è uno dei fotografi viventi più famoso, noto soprattutto per le sue foto patinate ma anche per le immagini in cui ritrae gli aspetti più tristi e meno luccicanti della realtà. E’ altresì noto per essere un innovatore: è il primo ad utilizzare Photoshop e a non vedere il digitale come un ostacolo ma come un’opportunità.
Sin dall’inizio della sua carriera, Frank Horvat si è sempre appassionato ai reportage, ai paesaggi ma anche alla scultura. Tuttavia Horvat divenne famoso soprattutto per le foto di moda pubblicate fra gli anni ’50 e ’80.
Uno dei temi maggiormente ricorrenti nella fotografia di Horvat è la condizione umana: egli fotografa la miseria ovunque, nel mondo, senza però nutrire la sua arte di sofferenza, senza mai sentirsi in colpa in quanto non esprime giudizi con e nei suoi scatti. La fotografia di Frank Horvat non è una morbosa curiosità ma piuttosto vuole solo poter evidenziare un problema che molto spesso la società moderna tende a trascurare, dimenticare, accantonare.
Colpisce particolarmente il modo in cui Horvat riesce a catturare queste immagini: è abile, discreto, si mimetizza ed utilizza apparecchi discreti, non tentenna e non si scoraggia. Da tutto ciò nasce la naturalezza delle sue foto. Non a caso Bresson lo rinomina “il fotografo invisibile”. Ad un certo punto però questo aspetto cambia: Frank Horvat scopre che le pose non conferiscono artificiosità alla foto ma al contrario la fanno sembrare ancor più reale.
Un altro degli obiettivi che si pone Frank Horvat con la sua fotografia, oltre quello di ritrarre la condizione umana, è quello di fermare il tempo. Questo aspetto è uno di quelli che maggiormente colpiscono nella fotografia di Horvat, insieme al modo in cui il fotografo gestisce ed utilizza la luce: Horvat infatti si ispira ai dipindi di Caravaggio ed al Rembrandt, riproducendo nelle sue immagini la stessa luce disegnata dai due artisti, un’illuminazione capace di far risaltare il soggetto sullo sfondo e di far concentrare l’attenzione sul soggetto stesso.
Un terzo elemento caratterizzante la fotografia di Frank Horvat è “la cosa”, ovvero gli oggetti: Horvat preferisce in realtà i soggetti in movimento (che rappresentano per lui una sfida), ma riconosce come anche gli oggetti inanimati e fermi hanno degli aspetti interessanti come ad esempio il modo in cui vengono colpiti dalla luce o la possibilità di utilizzarli come metafore o come simboli.
Frank Horvat nacque ad Abbazia (all’epoca parte dell’Italia, oggi Opatija, Croazia) nel 1928 da una famiglia di medici ebrei. Dal 1939 al 1945 visse in Svizzera ed in particolare a Lugano, dove studiò ed iniziò ad interessarsi alla fotografia, scambiandola sua raccolta di francobolli con una macchina fotografica.
All’inizio degli anni ’50 si trasferì a Milano dove studiò all’Accademia di Brera e dove lavorò come agente pubblicitario. Acquistò nella città meneghina un nuovo apparecchio fotografico, una Rolleicord, diventando un fotografo free-lance. Hovart intraprese parecchi viaggi in giro per il mondo ed in particolare in Pakistan ed in India (tra il 1952 ed il 1953), per poi trasferirsi nella città di Parigi (1955) dove ebbe modo di entrare il contatto con giganti del calibro di Robert Capa e Bresson. Fu proprio quest’ultimo che lo convinse ad abbandonare la sua Rolleicord per una Leica, macchina fotografica che lo ha accompagnato in tantissimi viaggi e avventure.
I primi successi fotografici, grazie ai suoi scatti in bianco e nero, risalgono a questo periodo e furono esposti al MOMA di New York, in un’esposizione dal nome The Family of Man.
Successivamente, cominciarono per Frank Horvat importanti collaborazioni con Life, Black Star, Jardin del Modes, Elle, Glamour, Vogue Italia ed altri. Lavorò in particolare con le riviste di moda dal 1956 al 1988 e fu parte dell’agenzia Magnum per tre anni, dal 1959 al 1961.
Agli inizi degli anni ’60, Horvat portò avanti un nuovo progetto con la rivista tedesca Revue, ovvero una raccolta di foto sulle grandi città extra europee, ovvero dodici città che visitò nell’arco di otto mesi. L’obiettivo era quello di realizzare un documentario che mostrasse un certo grado d’espressione. Il lavoro venneterminato nel 1963 ma accadde un fatto clamoroso: il nuovo direttore della rivista non era a conoscenza del progetto, costringendo Horvat a cercarsi un altro editore. Questa svista fu un vero colpo di fortuna per Frank Horvat che realizzò un libro pubblicato in parecchi paesi e dall’indubbio successo.
Nel corso degli anni ’80, a causa di un problema alla vista, Horvat scelse di dedicarsi per un periodo alle interviste degli artisti famosi piuttosto che alla fotografia pura e da qui nacque il libro “Entre Vues” uscito nel 1988. Tornò abbastanza presto alla fotografia, realizzando svariate pubblicazioni, tra le quali possiamo ricordare “Goethe in Sicilia” – 1982; “Le sculture di Degas” – 1991; “Verosimiglianze” – 1999; “Time Machine” – 2004 e “il labirinto Horvar” del 2006. Uno fra i progetti più importanti del fotografo è “1999 giornale fotografico” una raccolta di una foto al giorno per un anno.
Fra i lavori più recenti citiamo: “15 chiavi”, “Yao the cat”, “Bestiary” , “Ovid’s Metamorphoses” e “La Veronique”.
Gli anni ’90 furono anche gli anni della svolta in chiave moderna di Horvat: il fotografo è infatti uno dei pochissimi del suo tempo ad abbracciare con entusiasmo l’avvento del digitale utilizzando non solo le macchina fotografiche, appunto, digitali, ma avvicinandosi anche al mondo del post processing e del più blasonato dei software: Photoshop. Frank Hovat ha cominciato, con il digitale, una nuova avventura incentrata sulla ricerca del bello del quotidiano, ben lontano dai fasti, dalla bellezza fasulla tanto in voga tra i suoi colleghi.
Attualmente il fotografo vive in Francia, continuando la sua attività fotografica. Molte delle sue opere possono essere visionate sul suo sito web.