Affrontiamo in questo articolo le ultime tre aberrazioni principali, ovvero la (aberrazione) coma, l’astigmatismo e la curvatura di campo.
La Coma
In una lente semplice e non corretta, i raggi di luce oblique (fuori asse) che attraversano diverse zone della lente intersecano il piano focale distanze diverse dall’asse principale invece di essere sovrapposti. La zona centrale della lente forma un’immagine puntuale che si trova nella posizione geometricamente corretta. La zona immediatamente adiacenti formano immagini che non sono più un un punto ma un un piccolo cerchio che si sposta radialmente verso l’esterno della immagine geometrica. Le ulteriori zone successive formano cerchi più grandi e l’intero insieme delle immagini ha la forma di una V, nota come effetto Coma (perché assomiglia ad una cometa). Una lente che soffre di questo difetto si dice affetta da Coma.
L’aberrazione Coma non deve essere confusa con la componente laterale dell’aberrazione sferica: si tratta di un fenomeno totalmente differente tanto che una lente può essere corretta per l’aberrazione sferica laterale e la coma indipendente. In un sistema di lenti, la coma può manifestarsi sia verso l’esterno (lontano dall’asse delle lenti, come in Figura 6.7), o verso l’interno, con la coda (ovvero i cerchi più piccoli) rivolta verso l’asse della lente. La coma, come l’aberrazione sferica, può essere significativamente ridotta riducendo l’apertura della lente. Ciò, tuttavia, può causare lo spostamento laterale dell’immagine: questo effetto collaterale è una distorsione.
La coma può essere ridotta in una lente semplice impiegando un diaframma in una posizione tale da limitare l’area della lente su cui i raggi obliqui sono incidenti. Questo metodo viene utilizzato per ridurre al minimo sia la coma che l’astigmatismo tangenziale riducendo al massimo la spesa (è classico nelle macchine fotografiche di basso prezzo). In lenti composte, la coma viene ridotta bilanciando l’errore introdotto da un elemento con un errore uguale ed opposto di un secondo. In particolare, la costruzione simmetrica è la migliore per ottenere i risultati migliori.
La Curvatura di campo
La posizione della zona di messa a fuoco migliore per un oggetto planare è un piano gaussiano. In una lente semplice, tuttavia, questa superficie focale (gaussiana) non è piana, ma è una superficie sferica, detta superficie di Petzval, centrata sul punto nodale posteriore della lente.
Se si usa obiettivo che soffre di questo tipo di aberrazione, chiamata curvatura di campo, è impossibile ottenere un’immagine nitida su tutta la foto: quando il centro è a fuoco gli angoli sono sfocati, e viceversa. In poche parole, i punti dell’oggetto più lontani dall’asse ottico sono più lontani dal centro della lente rispetto ai punti che sono più vicini all’asse ottico stesso. Questi punti, di conseguenza, formano punti dell’immagine che sono più vicini alla lente rispetto ai punti più vicini al asse.
Petzval è stato il primo a progettare una lente (nel lontano 1840) mediante calcolo matematico, ideando la formula nota con il nome di somma Petzval, in grado di descrivere la curvatura di campo di un sistema di lenti in termini di indici di rifrazione e di curvature superficiali dei suoi componenti. Scegliendo opportunamente queste variabili, la somma di Petzval può essere ridotta a zero, dando un campo completamente piatto (ovvero azzerando l’aberrazione). Purtroppo, azzerare la curvatura di campo non è esente da problemi: non è infatti possibile contemporaneamente risolvere altri tipi di aberrazione. La curvatura di campo è fondamentale in strumenti, quali telescopi, che devono catturare una scena molto grande. Al fine di risolvere il problema, in questi strumenti vengono impiegate lenti molto sottili tali da poter essere “curvate” alla curvatura ottimale per risolvere l’aberrazione.
L’Astigmatismo
La superficie di Petzval, però, riesce a fare il suo lavoro solo se la lente è priva di un’altra aberrazione che affligge gli obiettivi: l’astigmatismo. Nella figura di seguito è rappresentato il tipo di problema generato dall’astigmatismo.
Quando la luce generata da un punto fuori asse passa obliquamente attraverso una lente, un piano di raggi paralleli alla linea che unisce il punto con l’asse ottico passa attraverso la lente. Questi raggi hanno angoli di incidenza e emergenti dalla lente che differiscono dalle condizioni di minima deviazione, pertanto sono messi a fuoco vicino alla lente piuttosto che all’asse. Allo stesso tempo, il piano di raggi perpendicolari all’asse passa attraverso la lente obliquamente, ovvero in un punto in cui la lente è più spessa e la sua curvatura maggiore rispetto al centro. Anche questi raggi sono messi a fuoco vicino alla lente, anche se in una posizione differente rispetto ai raggi paralleli di cui poco prima. Nella figura di seguito è mostrata, appunto, la differenza tra i due tipi di gruppi di raggi.
Il risultato finale è che su una di queste due superfici tutte le immagini dei punti fuori asse sono visualizzate come brevi linee radiali dall’asse ottico, mentre sull’altra superficie appaiono come linee tangenziali all’asse ottico. Come si evince anche dall’immagine, le due superfici astigmatiche si intersecano formando una terza superficie (nel cerchio azzurro) che contiene immagini che sono dischi minimi di confusione e rappresentano il miglior compromesso per la messa a fuoco. L’astigmatismo, in pratica, colpisce principalmente i margini della scena, ed è quindi un problema più serio con lenti che hanno un ampio angolo di visione.
Gli effetti delle due aberrazioni, ovvero astigmatismo e curvatura di campo, sono ridotti chiudendo l’apertura dell’obiettivo. Anche se la curvatura di campo può essere completamente corretta giocando con la curvatura dei singoli elementi ottici, l’astigmatismo non può essere parimenti corretto, tanto da essere un problema non risolto fino al 1880, quando furono inventati dei nuovi vetri (realizzati da Schott) che combinavano un basso indice di rifrazione con alta dispersione e viceversa. L’utilizzo di queste nuove lenti ha consentito di ridurre l’astigmatismo a valori bassi senza compromettere la correzione dell’aberrazione cromatica, sferica e della coma. Gli obiettivi realizzati con queste lenti sono chiamati generalmente anastigmatici.