Già nel 1857 William L. Jackson osservò come l’esposizione di una lastra fotografica parzialmente sviluppata alla luce a volte viene caratterizzata da una inversione di toni, rendendo in parte l’immagine negativa come un positivo e viceversa. L’effetto fu descritto una prima volta, in maniera più dettagliata, da H. de la Blanchere nel 1859 sulla rivista L’Art du Photographe e successivamente nel 1860 da L.M. Rutherford e C.A. Seely su due differenti articoli pubblicati sul The American Journal of Photography nonché dal conte Schouwaloff sulla rivista francese Cosmos.
Nonostante questi precedenti, però, questo particolare effetto venne chiamato con il nome di Sebatier (fu molto più bravo nel pubblicizzare il proprio articolo presso gli altri fotografi) che pubblicò un ulteriore articolo, nel 1862, sul Bulletin de Société Française de Photographie.
L’effetto Sabatier
L’effetto Sabatier
non è una vera e propria solarizzazione dell’immagine: la vera solarizzazione è la totale inversione di una porzione di un’immagine fotografica derivante da una prolungata esposizione a una luce estremamente luminosa. La solarizzazione (spesso indicata come classica) fu inizialmente osservata sui dagherrotipi sovraesposti: questa è dovuta al rilascio di ioni bromuro causati da uno sviluppo molto intenso nella zona sovraesposta. Tanto per rendere l’idea, l’esposizione necessaria per produrre una vera solarizzazione varia da 1.000 a 10.000 volte quella necessaria per produrre un negativo totalmente nero: una situazione non facile da realizzarsi.
L’effetto Sabatier, va precisato, viene accostato al termine solarizzazione soltanto da poco tempo: precedentemente era noto come pseudo-solarizzazione salvo perdere il termine “pseudo” nel corso degli anni.
L’effetto Sabatier è generalmente considerato essere il risultato di una desensibilizzazione di una porzione di emulsione fotografica. Il meccanismo alla base di questa desensibilizzazione non ha ricevuto un’adeguata spiegazione fino alla pubblicazione, in tempi relativamente recenti (un secolo dopo la sua scoperta!) di due documenti: An Explanation of the Sabatier Effect e Further Study of the Sabatier Effect di William L. Jolly, pubblicati rispettivamente sul The Journal of Imaging Science nel 1985 e nel 1988.
Le carte fotografiche che “solarizzano” meglio sembrano essere basate su emulsioni in gran parte al bromuro anche se ci sono notevoli eccezioni. William L. Jolly (ed altri associati) hanno dimostrato sperimentalmente che le carte con buone emulsioni per l’applicazione dell’effetto Sabatier contengono granuli di alogenuro d’argento con i centri di sensibilità principalmente situati sulla superficie dell’emulsione. Le carte fotografiche che al contrario non solarizzano bene contengono una percentuale molto più elevata di centri di sensibilità interni. I granuli di alogenuro d’argento in ogni emulsione hanno sempre alcuni centri di sensibilità interni e questi (secondo William L. Jolly) sono al centro l’effetto Sabatier.
Le varie porzioni dell’emulsione di una carta fotografica ricevono differenti quantità di esposizione corrispondenti a diversi valori di densità del negativo. Alcune aree non ricevono alcuna esposizione (valori elevati di stampa – zone molto chiare) , altri settori ricevono una moderata quantità di esposizione (valori medi della stampa) ed infine altri ancora ricevono grandi quantità di esposizione (valori bassi o della stampa – zone molto scure): ognuna di queste aree risponde in modo diverso alla solarizzazione.
I granuli di alogenuro presenti nell’emulsione che hanno ricevuto un’alta esposizione iniziale vanno immediatamente a formare macchie di immagine latente sulla loro superficie e vengono ridotti a puro argento durante il primo periodo di sviluppo. Questi diventano, nella stampa finale, le zone scure, di ombra. Una volta convertiti in argento puro, questi granuli non sono influenzati dalla solarizzazione (spesso chiamato anche secondo sviluppo).
I granuli di alogenuro presenti nell’emulsione che hanno ricevuto una moderata esposizione hanno formato le sotto-immagini latenti: sono i granuli di alogenuro contenuti nei centri di sensibilità interne (quelli quindi presenti all’interno dell’emulsione e non sulla superficie) che si sono trasformati in argento.
W.L. Jolly ha teorizzato che una pressione elettronica viene creata dagli ioni presenti nella soluzione di sviluppo sulla superficie dei granuli di alogenuro. Questa “pressione” provoca la migrazione degli elettroni liberi verso le sotto-immagini latenti interne. Queste, a loro volta, attirano ioni argento dalle sotto-immagini latenti di superficie: alla fine ci ritroviamo con delle immagini latenti solo “nella” emulsione e non sulla sua superficie.Questi granuli di alogenuro d’argento non sono sviluppabili tramite soluzioni di sviluppo a basso contenuto di solvente. Quando questi grani ricevono il secondo sviluppo (la solarizzazione), otteniamo una crescita dimensionale delle immagini latenti interne ma a causa del processo di migrazione degli elettroni menzionato in precedenza, nessuna immagine latente si crea sulla superficie dell’emulsione (quindi i granuli non vengono ridotti a puro argento). Tuttavia, se questo processo si protrae nel tempo (ben oltre i 90 secondi), l’azione solvente del solfito finisce per permettere all’agente di sviluppo di ottenere dei puntini di immagine latente all’interno del granuli.
Nell’immagine qui sopra, i quattro differenti stadi rappresentano, rispettivamente:
- 1. granuli di alogenuro d’argento alla prima esposizione ,
- 2. il primo sviluppo
- 3. la seconda esposizione
- 4. il secondo sviluppo .
La Colonna A mostra i grani di alogenuro d’argento che ricevono grandi quantità di esposizione iniziale. Come conseguenza essi sono completamente sviluppati durante il primo sviluppo e non sono influenzati dalla seconda esposizione e il secondo sviluppo.La Colonna B mostra i grani di alogenuro d’argento che ricevono una quantità moderata di esposizione iniziale. Come conseguenza questi possono formare una sotto-immagine latente all’interno che attira gli elettroni e gli ioni argento al centro del grano. La seconda esposizione ha l’effetto di aumentare la sotto-immagine latente (diviene insomma un’immagine latente), immagine che non è riducibile da una secondo sviluppo breve .La colonna C mostra i grani di alogenuro d’argento che ricevono una piccola quantità di esposizione iniziale . Durante il primo sviluppo questi grani formano in superficie (ma non all’interno) delle sotto-immagini latenti, sotto-immagini che durante la seconda esposizione diventano immagini latenti di superficie, permettendo all’intero grano di essere ridotto ad argento durante il secondo sviluppo.La Colonna D mostra infine i grani di alogenuro d’argento che non ricevono alcuna esposizione iniziale, rimanendo così inalterati dopo il primo sviluppo. Durante la seconda esposizione questi grani formano delle sotto-immagini latenti in superficie (in caso di seconda esposizione molto corta) o dei puntini di immagine latente (in caso di seconda esposizione lunga). Se la seconda esposizione è debole , questi grani non saranno ridotti a argento. Al contrario, se la seconda esposizione è lunga, i grani saranno ridotti ad argento.
I granuli di alogenuro d’argento dell’emulsione che hanno ricevuto una bassa esposizione iniziale mostreranno delle piccole sotto-immagini latenti sulla superficie. La seconda esposizione (la solarizzazione) converte queste sotto-immagini in immagini latenti e la riduzione dei granuli in argento puro inizia quasi immediatamente. In pratica la seconda esposizione aggiunge una sorta di “nebbia” a quelle aree che, in una stampa normale, avrebbero avuto dei valori molto alti. Questa nebbia è proporzionale al tempo e all’intensità della solarizzazione (la seconda esposizione).
I granuli di alogenuro d’argento dell’emulsione che non hanno ricevuto alcuna esposizione iniziale non presenteranno alcuna sotto-immagine latente. Se sottoposti ad una seconda esposizione con una luce a bassa intensità, gli anioni assorbiti nei centri di sensibilità sulla superficie dei granuli respingeranno i fotoelettroni in modo che le immagini latenti sulla superficie dei granuli non possano formasi. Se i granuli però contengono dei centri di sensibilità al loro interno (e non solo sulla superficie), può accadere che si formino delle immagini latenti, immagini comunque troppo in profondità nel granulo e quindi difficilmente riducibili durante il secondo sviluppo (non si trasformano in argento). Quindi, nel caso di una seconda esposizione a bassa intensità su granuli che non hanno avuto una prima esposizione, nulla accade. Questo spiega perché talvolta i valori molto elevati di una stampa non sono interessati dalla solarizzazione. Tuttavia, se tali granuli ricevono una seconda esposizione con una luce dall’intensità molto alta, la quantità di fotoelettroni potrebbe essere troppo elevata perché gli anioni riescano a respingerli tutti con conseguente formazione di un’immagine latente sulla superficie dei granuli stessi e la successiva riduzione ad argento: si verranno a creare delle zone “appannate” sulla fotografia finale (meno intense della nebbia di cui abbiamo parlato prima).
Solo l’inversione apparente (in realtà si tratta di una mancanza di sviluppo) che accade in alcuni valori medi della stampa può essere legittimamente definita come l’effetto Sabatier. Questo non è un effetto di “inversione” dei valori ma piuttosto una desensibilizzazione (che inibisce lo sviluppo) di quelli che, in condizioni normali, sarebbero i valori medi di una stampa.
Esiste tuttavia una vera e propria inversione che può talvolta avvenire a seguito di bromuri rilasciati da uno sviluppo intenso dopo la seconda esposizione. I bromuri si diffondono sopra le aree adiacenti (al punto di rilascio) che presentano una minore densità e hanno l’effetto di ridurre notevolmente il loro numero e dimensione. Questo particolare effetto di “margine” dell’effetto Sebatier , facilmente visibile nelle stampe come delle linee bianche fra zone nettamente di densità nettamente differente, è stato scoperto da Stevens e Norrish nel 1937. Tuttavia, i loro esperimenti sono stati condotti interamente con delle pellicole, tant’è che hanno affermato come la riduzione del bromuro può svolgere un ruolo importante in questo fenomeno.
Oltre ai succitati effetti, ve ne è un ulteriore, una sorta di effetto nebulizzazione, che accade in aree a bassa esposizione iniziale che è controllabile variando la durata e l’intensità della seconda esposizione. Questa nebulizzazione non è propriamente un effetto Sabatier (che, come detto, coinvolge la desensibilizzazione dell’emulsione), ma è comunque un fenomeno associato all’effetto Sabatier e spesso viene con esso identificato.
L’effetto Sabatier – alias solarizzazione – in poche parole
Per riassumere, la solarizzazione può essere definita come un’inversione completa o parziale dei toni di un’emulsione di una stampa esposta e parzialmente sviluppata quando su di essa viene applicata una seconda esposizione uniforme e successivamente sviluppata. Attraverso la manipolazione ed il controllo delle variabili in gioco, è possibile inserire nella stampa differenti effetti, dalla semplice aggiunta di alcuni toni fino alla posterizzazione di alcuni toni.