Ernst Haas nacque nel 1921 nella città di Vienna ed è stato uno dei foto-giornalisti più famosi del suo tempo, in particolare per i suoi scatti a colori. Ha cominciato i suoi studi nella nativa Austria, dal 1935 al 1938 presso il collegio viennese privato LEH Grinzing dove si è avvicinato all’arte letteratura, poesia e scienza. Nel 1938 fu costretto ad interrompere gli studi a causa della Seconda Guerra Mondiale e della conseguente invasione tedesca.
Durante l’occupazione, il giovane Haas fu inviato presso un campo di lavoro tedesco dove ottenne, in cambio di 6 ore di lavoro quotidiano, la possibilità di studiare per altre due. Cosa che gli permise di ottenere un diploma, al Rainier Gymnasium, due anni dopo (1939). L’ano successivo, nel 1940, riuscì a rientrare a Vienna per iscriversi a medicina, esperienza che si concluse appena l’anno seguente a causa delle sue radici ebraiche.
Durante tutti questi anni, Erns Haas non dimenticò l’amore per le arti (il padre era un fotografo dilettante) e si innamorò della fotografia nel 1940 a seguito della morte del padre: entrò infatti nella camera oscura del genitore per sviluppare delle foto di famiglia. Esperienza che lo colpì in modo particolare segnandone il futuro. Negli anni seguenti cercò, da autodidatta, di espandere la sua conoscenza in questo settore sia utilizzando la biblioteca di famiglia, sia partecipando a corsi specifici (tra cui il Film Seminar di Max Reinhardt).
I suoi primi scatti come fotografo professionista sono stati effettuati con le Rolleiflex a doppio obiettivo, ottenuta in cambio di nove chili di margarina. Successivamente, alla fine del 1940, passò al 35mm usando una fotocamera a telemetro Leica, sua compagna fedele fino alla sua morte.
Nel 1946 Ernst Haas conosce Alfred Kubler, direttore della rivista “Du” che, notando i primi lavori di Haas, lo mise in contatto con Werner Bischof. Tra i due nacque una profonda amicizia e cominciarono a lavorare insieme per l’agenzia “Black Star”. L’anno seguente (1947), Haas fece la sua prima esposizione fotografica presso la sede centrale della Croce Rossa Americana ed i suoi lavori furono notati da Warrant Trabant, direttore dell’“Heute”, una rivista dedicata ai tedeschi di stanza nei territori occupati. Erns cominciò, insieme alla fotografa austriaca Inge Morath, una proficua collaborazione. Uno scatto in particolare, “Homecoming” (il ritorno in patria dei dei prigionieri di guerra austriaci), fu pubblicato dalla rivista Heute e dalla rivista Life.
A seguito di questo particolare scatto, Ernst fu notato da un altro grande fotografo, Robert Capa, che lo invitò a unirsi al gruppo dei “grandi” (Rodger, Cartier-Bresson, Bishof, Vandivert e lo stesso Capa) sotto le insegne della rivista Magnum.
In contemporanea anche la blasonata Life gli offrì un importante posto di lavoro. Incarico che però Ernst Haas rifiutò in quanto troppo “limitante”, preferendo Magnum.
Il 1949 fu l’anno della conversione al colore e due anni dopo, nel 1951, si trasferì negli Stati Uniti. Qui, in particolare a New York, divenne una sorta di fotografo di strada, con scatti meno diretti rispetto ad altri colleghi quali Lisette Model e presentando uno spaccato meraviglioso, quasi poetico, della grande mela e della vita in quegli anni (pubblicato nel 1953 dalla rivista Life, sotto il nome di “Images of a Magic City”).
Haas effettuò parecchi viaggi (anche se non abbandonò mai New York, definitivamente la sua casa) tra i quali quello presso il White Sands National Park in New Mexico (1952) dove si recò per riprendere la vita dei nativi americani, lavoro che fu pubblicato dalla rivista Life sono il nome di “Land of Enchantment”.
Successivamente, nel 1957, visitò la Spagna e la corrida fu il suo soggetto preferito, presentata in una maniera differente rispetto a quanto già esistente, con un mix di colori e movimenti. Haas usò tempi di scatto molto lunghi in modo da non “congelare” i movimenti ma piuttosto di esaltare il portamento elegante e la luminosità del torero e del toro. Ancora una volta, questo lavoro fu pubblicato da Life con il nome di “Movement in sport”.
Nel 1961 la rivista “Holiday” pubblicò un lavoro sull’Occidente ed i fiordi Norvegesi, caratterizzato da giochi di sfocature e immagini speculari.
L’anno successivo è l’anno del debutto televisivo: Ways of Seeing fu una miniserie di 4 puntate sulla, ovviamente fotografia. In contemporanea, il MOMA gli dedicò una mostra, chiamata Ernst Haas: Color Photography.
Fu anche direttore della fotografia per un film di John Huston (La Bibbia). Nel 1971, infine, pubblicò uno dei suoi lavori migliori, un set di filmati sulla natura, chiamati “The Creation”.
Nel 1976 inaugura la Galleria Space insieme a Jay Maisel e Pete Turner. Il tema predominante della mostra era la fotografia a colori, suddiviso in tre grandi capitoli tutti dedicati alla fotografia naturalistica. Il primo capitolo dedicato agli elementi, la seconda e la terza sezione dedicata alle creature. Haas giocò con la luce, i colori ed i movimenti, “reinventando” un mondo in grado di incuriosire non solo gli spettatori di allora (si trattava in ogni caso di una novità) ma anche gli attuali.
Per quanto riguarda la sua vita privata, Haas sposò nel 1951 dalla quale si separò qualche anno dopo. Quindi nel 1962 sposò Cynthia Haas Buehr Seneque, un editore americano, dalla quale ebbe due figli, Alexander e Victoria.
Gisela Minke , una hostess tedesca, fu inoltre la sua compagna per parecchi anni. Fu lei ad incoraggiarlo a visitare il Tibet, visita dalla quale nacque la raccolta Himalayan Pilgrimage. Sei anni prima della sua morte, avvenuta nel 1986 a causa di un infarto, incontrò Takiko Kawai, che ebbe merito di introdurlo alla cultura e alle tradizioni del Giappone.
Haas ha usato la pellicola in bianco e nero per gran parte della sua carriera anche se la pellicola a colori e la pellicola cinematografica divennero parte integrante della sua fotografia.La sperimentazione era il suo “credo”, ed ad Haas dobbiamo tecniche oramai usate quotidianamente quali la profondità di campo, la messa a fuoco selettiva, lo sfocato ed il movimento.
Haas si interessò, come affermava lui stesso, a “trasformare un oggetto da quello che è a ciò che si vuole che sia.”.