Eugene W. Smith è stato uno dei grandi protagonisti della fotografia del novecento americana. Considerato uno dei fondatori del reportage fotografico, Eugene ha avuto il merito di arricchirlo di aspetti reali ed emozionali, rendendo i suoi scatti vivi e immortali. Tale dedizione agli aspetti fedeli della realtà è però legata ad un dramma personale, ovvero la morte del padre, suicidatosi per la depressione in seguito alla crisi economica. La notizia della morte dell’uomo fu manipolata e distorta dai giornalisti, tanto da convincere il giovane Eugene a porre rimedio alla falsità dei giornalisti, promettendo a se stesso di realizzare esclusivamente reportage fotografici crudi e realisti.
Quella di Eugene W. Smith non fu certo una vita tranquilla, anzi: avventurosa fino al limite dell’autodistruzione, eppure sempre dedita alla creatività. Eugene W. Smith è stato ed è tutt’ora riconosciuto quale un grande genio della fotografia, tormentato e combattuto fra l’etica del giornalismo ed il desiderio di totale autonomia, dell’assenza di regole, di imposizioni, di preconcetti o censure. E proprio questo suo amino ribelle portò Smith ad essere in perenne conflitto con gli editori, complice anche il suo essere essere orgoglioso, inflessibile, puntiglioso e poco propenso ai compromessi.
Eugene ha sempre mirato molto in alto: ha speso tantissime delle sue energie in progetti irrealizzabili, nel tentativo (vano) di dar vita a grandi opere vacillanti. Purtroppo nei lavori del fotografo sono spesso mancate o coerenza o tecnica, cosa che ha finito col non permettere, da parte del fotografo, la presentazione agli editori di progetti finiti o semplicemente organizzati e quindi pubblicabili.
Il genio di Eugene è stato nel riuscire a catturare la realtà dell’immagine per ciò che è, trasmettendo la forza e la naturalezza dei sentimenti, che siano essi derivanti da tragedie o da eventi lieti. Per lo più è il dolore che compare ritratto nelle foto di Eugene W. Smith, derivante principalmente dai tanti momenti di depressione e di pessimismo che hanno costellato la sua vita. Inquietudine e turbamento traspaiono anche nelle foto che dovrebbero essere liete, come uno scatto dei sue due bambini (Walk to paradise garden) ritratti mentre camminano in mezzo alla natura, ovvero in mezzo ad un bosco molto tenebroso, cupo, capace di trasmettere paura ed ansia all’osservatore. Stupore, angoscia, sorpresa: sono questi i sentimenti che Eugene vuole suscitare con i suoi ritratti realistici in cui si percepisce l’immedesimazione, il disgusto per la violenza, l’orrore del dolore, come in Her Bath, definita la nuova pietà.
Eugene W. Smith nacquenel 1918 a Wichita, in Kansas. A 14 anni (1932) iniziò ad interessarsi al mondo della fotografia. Tutti gli scatti però realizzati in questo periodo non non sopravvivono allo spirito perfezionista del fotografo, tant’è che li distrusse tutti in quanto ritenuti troppo immaturi. Dal 1924 al 1936 frequentò le scuole cattoliche.
Nel 1936 si laureò presso la Wichita North High School. Nel frattempo, in famiglia, la situazione per il giovane Eugene non è affatto rosea, sia per il rapporto da sempre conflittuale con sua madre che domina tutti gli aspetti della sua vita, sia per il suicidio del padre, avvenuto nel 1936 a causa della crisi economica americana.
Nello stesso anno Eugene, venne ammesso alla Notre Dame University dove frequentò dei corsi di fotografia, abbandonati però molto presto per buttarsi nelle collaborazioni con i giornali. Il primo è un settimanale, Newaweek, che però lasciò nuovamente dopo poco tempo in quanto non era di suo gradimento l’attrezzatura che era obbligato ad adoperare, ovvero le macchine fotografiche Graphic 4×5. Sul finire degli anni trenta, Eugene W. Smith partecipò anche ad un corso amatoriale, il Carl Zeiss, e collaborò con la rivista Life come fotografo di guerra.
Agli inizi degli anni quaranta lasciò Life per la prima volta, per poi rientrarvi all’indomani del secondo conflitto mondiale quando si recò come reporter a Okinawa ed Iwo Jima. Durante gli scontri, venne ferito da una granata e nonostante i diversi interventi le schegge non furono eliminate tolte del tutto, a causa della vicinanza con la colonna vertebrale.
Dopo un lungo periodo di riabilitazione a seguito della granata, si dedicò al progetto “Spanish Village” ritraendo una città sotto il dominio del generalissimo Franco ed al reportage “Country Doctor”. Il rapporto con Life si deteriorò ancora di più.
Negli anni cinquanta, Eugene entrò a far parte della Magnum lasciando definitivamente Life (1954). Iniziò a dedicarsi ad uno dei suoi grandi progetti: il reportage “Minamata” legato ai i tragici effetti dell’inquinamento da mercurio, in Giappone, a causa dell’azienda Chisso.
Verso l’inizio degli anni sessanta, a causa della sua condizione d’indigenza, lasciò moglie e figli e si trasferì in una soffitta di New York, iniziando a fotografare i jazzisti.
Negli anni settanta ritornò in Giappone e sul progetto Minamata, ma l’azienda era alquanto decisa a farlo tacere, tanto da tendergli un agguato dove riportò diverse ferite. Successivamente e per un certo lasso di tempo, il progetto fu “ceduto” alla sua seconda moglie, Aileen, salvo riprenderlo successivamente. Minamata vide finalmente la luce nel 1975 e, grazie alla sua amicizia con Ansel Adams, poté insegnare per qualche anno all’Università dell’Arizona
Morì nel 1978 nell’anonimato totale, colpito da un ictus, a seguito dell’abuso di una vita di alcol e farmaci.