In quest’articolo affronteremo un argomento un po’ particolare, ovvero la cosiddetta processed photography, letteralmente fotografia elaborata, sempre più diffusa ai giorni nostri. Oltre ai processi di post produzione ci affronteremo anche temi di filosofia e astronomia, fino all’evoluzione della specie umana. Lungo questa strada ci incontreranno strane creature dotate di molti più colori di quelli conosciuti e concluderemo il cammino con la questione morale nel campo fotografico.
L’evoluzione della fotografia
Cominciamo con il dire che non siamo qui per recitare la storia della pellicola. C’è però da dire che la frase stessa “scrivere con la luce” ha portato ad una lunga serie di tecniche fotografiche. Dal momento in cui Nicéphore Niépce combinò la camera oscura con la carta fotosensibile, nel 1816, la pellicola ha attraversato differenti fasi riguardo la possibilità di catturare ciò che si trova di fronte al fotografo. Per fare un esempio, nell’ottocento non si riusciva a scattare a 1/500 secondi una foto di un soggetto in pieno giorno. Per la stessa foto erano necessarie ore per la corretta esposizione. Oggi però tempi di esposizioni molto lunghi vengono utilizzati per fotografie creative, si pensi ad esempio al light-painting, al flattening di paesaggi marini o alla capacità di mistificare la gente. In pratica all’opposto della fotografia ad alta velocità o di un film in slow motion, le lunghe esposizioni hanno anche la capacità di rivelare ciò che sarebbe invisibile all’occhio umano. Oggi, nell’era del digitale, questa particolare capacità di “raccogliere la luce” si traduce nella possibilità di catturare qualcosa che non potrebbe essere catturata diversamente: per esempio la fioca luce di antiche stelle distanti diversi anni luce.
“È malato! È vero?”
È l’astrofotografo Adam Block a spiegare il titolo della sua presentazione: durante il pranzo in un chiosco di sandwich, parlando dell’apertura di una mostra con un astronomo, un cameriere sparecchiando vede la fotografia della nebulosa Elmetto di Thor, una nebulosa a emissione nella costellazione del Cane Maggiore. Il cameriere, impressionato dall’immagine della nebulosa, esclama: “È malato! È vero?”
Adoperando esposizioni multiple di una determinata porzione di cielo notturno, Adam Block riesce a cogliere diversi dettagli di luoghi lontani che non potremmo mai raggiungere.
L’astrofotografia è un genere particolarmente difficile della fotografia. La lunga esposizione rende la fotografia quasi prospettica. Consideriamo l’immagine della nebulosa Elmetto di Thor di Adam Block. L’immagine è stata catturata esponendo una fotocamera dotata di sensore CCD all’estremità posteriore di un telescopio da 32 pollici per un totale di nove ore in modo da catturare gli stessi colori della luce che l’occhio umano riesce a percepire. Block ha posto tre filtri differenti di fronte alla fotocamera CCD in bianco e nero, facendo passare solo la luce come da uno dei coni nella retina. Tali esposizioni di tipo RGB sono in grado di catturare il colore nelle nebulose, nelle galassie e nelle stelle. Una quarta serie di esposizioni imita un altro organo nella retina, le aste. Invece senza utilizzare nessun filtro, Block cattura la luminosità. L’immagine sopra è la stessa che ha stupito il cameriere. Ci sono volute venti ore di esposizione totali per catturare la luce lontana che si vede qui.
Evoluzione della fotografia: la limitazione della visione umana
La visione umana, seppur evoluta nel tempo, risulta essere ancora un modo di vedere il mondo abbastanza limitato ma tuttavia sufficiente. Gli occhi ci hanno aiutato in primis a sopravvivere, a praticare la caccia in particolare nella Savana africana. Al giorno d’oggi, gli uomini prosperano in una civiltà ricca di macchine fotografiche e computer. Il nostro senso di visione si è evoluto per percepire il mondo nella maniera che più abbia un senso per noi, ma allo stesso tempo il nostro cervello si è evoluto per dare un senso a ciò che i nostri occhi percepiscono.
I nostri occhi, tuttavia, riescono a vedere solo una piccola parte dello spettro elettromagnetico. Questa parte “visibile” prende il nome di “luce visibile”. I coni nelle nostre retine sono presenti in tre diverse versioni fisiche, ognuna di queste è capace di catturare una porzione ancora più ridotta di questo spettro: rosso, verde o blu. Block parla anche di questo. Difatti spesso cattura immagini dell’universo in questi tre colori che insieme costituiscono la maggior parte dei colori che vediamo
Circa l’8% degli uomini e lo 0,5% della popolazione mondiale, in un modo o nell’altro, non riesce a vedere determinati colori. La causa di questa particolare situazione è da ricercare nella mancanza di una versione di coni della retina. Molto più interessanti sono state alcune segnalazioni scientifiche di una donna che in realtà possiede quattro tipi di coni. La donna, medico del nord Inghilterra, conosciuta soltanto come “soggetto cDa29” è stata analizzata per comprendere fisicamente la risposta dell’occhio ad un colore tra rosso e verde. Non potremo mai sapere come lei percepirebbe i colori delle nostre fotografie, ma detto ciò, non sapremo mai come lei, e anche chi non vede i colori, vedono il mondo a tre colori.
Evoluzione della fotografia: HDR reale
Possiamo però dire che alcune specie di uccelli vedono il mondo in modo diverso.
È noto che ad esempio i colibrì vedono una parte dello spettro ultravioletto, una serie di lunghezze d’onda che sono assolutamente invisibili ai nostri occhi. Ma non ci si ferma qui. L’esempio più estremo di visione estesa dei colori è rappresentato da creature di alto mare denominate “stomatopodi”. Questi sperimentano nel loro ambiente un reale HDR, posseggono infatti 16 diverse varianti di coni nella loro retina e non solo per quanto riguarda il colore, ma anche per vedere diversi tipi di polarizzazione. Ora proviamo ad immaginare come vedono il mondo. Immaginiamo un mondo in cui le stomatopodi erano la specie dominante e lo sviluppo delle fotocamere si avvicinava alla loro visione del reale. Una macchina fotografica potrebbe quindi “vedere” come il piccolo telescopio spaziale Hubble?
La base di lettura sta nel fatto che i coni catturano il colore in modo leggermente diverso da individuo ad individuo, questo per via di variazioni genetiche del tutto naturali. Teoricamente la stessa lunghezza d’onda della luce avrà un aspetto diverso per ogni singola persona.
Il Deserto del Reale
Il sociologo e filosofo francese Jean Baudrillard (1929-2007) ha scritto largamente circa il realismo di ciò che vediamo. Le sue opere sono alla base del film Matrix. Baudrillard ha postulato che la nostra cultura postmoderna è diventata così dipendente dai canoni e dai modelli che abbiamo perso ogni contatto con il mondo reale che li ha preceduti. In questo modo, a sua detta, la realtà stessa ha iniziato ad imitare il modello. Tuttavia per Baudrillard non significa che il nostro mondo è un mondo artificiale. Tutto ciò richiede un senso della realtà utile a riconoscere l’artificio. Vi siete già persi?
In poche parole non c’è più alcuna distinzione tra la realtà e la sua rappresentazione; c’è solo il simulacro, una simulazione di simulazioni.
Nel 1999 nel film Matrix, un mondo ideale generato dal computer, la simulazione appunto, mantiene la popolazione sotto controllo, mentre un’intelligenza artificiale raccoglie il corpo umano vivente per l’energia. Il mondo reale al di fuori di quello ideale viene indicato come “il deserto del reale”, cioè uno spazio culturale in cui televisione, cinema e immagini computerizzate sono addirittura più vicine a noi della realtà fisica che ci circonda. Questa perdita della realtà non è così difficile da capire per i fotografi che cercano di ritrarre il mondo che li circonda. Volendo proiettare questa definizione sulla fotografia di paesaggio, possiamo dire che la differenza tra ciò che vediamo nel paesaggio e ciò che vediamo sullo schermo di un computer potrebbe anche essere molto grande, ma come molti degli osservatori che in realtà non vedono il paesaggio, potrebbe anche essere reale per loro. Lo schermo del computer, o persino la stampa, potrebbero anche sembrare più reali del vero soggetto fotografato.
Non è certo una sorpresa che Baudrillard era un appassionato fotografo di quella meglio conosciuta come “realtà astratta”.
Evoluzione della fotografia: la Fotografia reale
Perciò fotocamere, obiettivi, filtri e software di elaborazione superano i limiti della visione umana; i fotografi in questo modo decideranno effettivamente quale parte dello spettro mostrare al pubblico. Non si tratta quindi solo di cornice, soggetto, composizione e tempistica. È qui che la fotografia diventa nuovamente una forma d’arte. In realtà qualsiasi decisione presa dal fotografo diviene arte. Merriam-Webster descrive l’arte come “qualcosa che si crea con fantasia e abilità, e che è bello o che esprime idee o sentimenti importanti”. Ma in fin dei conti è qualcosa di reale?