Henri Cartier-Bresson nasce a Chanteloup-en-Brie, in Francia, il 22 agosto 1908.
Inizialmente si dedica alla pittura, grazie anche all’influenza dello zio Louis; solamente nel 1931, di ritorno da un viaggio in Costa d’Avorio, si rende conto di essere fortemente attratto dall’interesse ad immortalare la realtà.
La scintilla che innesca questo amore è una fotografia di Martin Munkacsi. Cartier-Bresson decide quindi di dotarsi di una macchina fotografica che lo accompagnerà per molto tempo, una Leica 35mm con lente 50mm.
Lungo il corso di tutta la sua carriera fotograferà principalmente con questo apparecchio.
All’inizio degli anni ’30 si lega al mondo del cinema, dapprima come assistente di Jean Renoir e poi, nel 1937, come regista del film Return to life. In seguito intraprende un viaggio in Asia fino al sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale entra a far parte della resistenza francese, svolgendo comunque la sua attività fotografica.
Nel 1940 viene catturato dai nazisti, ma riesce dopo diversi tentativi a fuggire; una volta ritornato dalla prigionia si unisce ad un’organizzazione per assistere gli evasi.
Il suo rapporto con la grande guerra però non si ferma qui. Nel 1945 infatti è sempre il suo obiettivo a fotografare la liberazione della capitale francese dalle truppe tedesche.
Superata la guerra rientra a far parte del mondo del cinema e subito dirige il documentario Le Retour.
Nel 1946 viene a conoscenza del fatto che il MOMA di New York, credendolo scomparso in guerra, vuole dedicargli una mostra postuma. Contatta il museo e per più di un anno lavora in maniera certosina alla preparazione dell’esposizione, che avrà luogo nel 1947.
Nello stesso anno insieme ad altri elementi di spicco, tra cui Robert Capa, conosciuto in Francia a metà degli anni ’30, fonda l’agenzia Magnum, nata con lo scopo di tutelare il diritto d’autore e la trasparenza d’informazione.
Intensifica i suoi viaggi e non c’è angolo del globo che il suo obiettivo non conosca. Dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica, dalla Cina all’Italia, dall’India al Giappone; è ovunque.
Tra i suoi numerosi viaggi in Italia ce n’è uno in particolare molto importante, quello del 1962, quando per la rivista Vogue si reca in Sardegna per oltre tre settimane per immortalare i luoghi della tradizione.
Qualche anno più tardi, a partire dal 1968, Cartier-Bresson torna a dedicarsi alla sua prima grande passione, la pittura, dichiarando di non essere minimamente interessato alla fotografia.
Inizia a ridurre notevolmente la sua attività fotografica, fino ad eliminarla definitivamente nel 1975, eccezion fatta per qualche ritratto di carattere familiare.
Nello stesso anno abbiamo la sua prima esposizione di dipinti alla Carlton Gallery di New York.
Si ritira a vita privata, interrompendo il suo silenzio solamente nel 2000, quando assieme alla sua seconda moglie, Martine Franck e alla figlia Mélanie, crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, con lo scopo di raccogliere tutte le sue opere e di creare uno spazio per le esposizioni.
Muore quattro anni più tardi a Céreste, il 3 agosto 2004, a 95 anni.
Nel corso della sua lunga carriera è riuscito a ritrarre sia situazioni particolari che personaggi di ogni tipo, come il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Albert Camus, Henri Matisse, Richard Nixon, Marilyn Monroe, Igor Stravinsky e molti altri.
Apprezzato e stimato da tutti Cartier-Bresson è considerato uno dei pionieri del foto-giornalismo, tanto da meritarsi anche il soprannome di “occhio del secolo”, data l’importanza delle sue testimonianze visive durante il novecento.
La sua opera più famosa è certamente The Decisive Moment, scritto nel 1952. Il libro non contiene soltanto una raccolta delle foto più famose di Cartier-Bresson, ma ne descrive anche il modo stesso di fare fotografia.
Viene descritta l’importanza del soggetto, della tecnica e di tutti gli altri aspetti che compongono la disciplina fotografica.