Il diaframma, di cui abbiamo accennato nel post descrittivo delle reflex, è quella “paratia” che permette ad una determinata quantità di luce di passare attraverso un obiettivo. Il diaframma è infatti un elemento dell’ottica e non della macchina fotografica.
Il diaframma, da un punto di vista tecnico è pari alla lunghezza focale dell’obiettivo in mm / diametro di apertura dell’obiettivo in mm.
Inutile sottolineare come le lunghezze focali degli obiettivi nonché il loro diametro devono sottostare a degli standard ben precisi, tale che il loro rapporto sia sempre pari a dei valori standard definiti con il termine di stop o di f. I possibili valori di f sono:
f/1 – f/1,4 – f/2 – f/2,8 – f/4 – f/5,6 – f/8 – f/11 – f/16 – f/22 – f/32 – f/45 – f/64
Ne deriva che, per un obiettivo 50mm (la lunghezza focale) ci ritroveremo con i seguenti diametri:
- 50mm / 1,4 = 35,7 mm (la massima apertura)
- 50mm / 2 = 25 mm
- 50mm / 2,8 = 17,8 mm
- 50mm / 4 = 12,5 mm
- 50mm / 5,6 = 12,5 mm
- 50mm / 8 = 6,25 mm
- 50mm / 11 = 4,54 mm
- 50mm / 16 = 3,1 mm (la minima apertura)
Il motivo per cui si è definita la succitata scala (detta diaframmale) è legata alla quantità di luce che passa attraverso la lente: questa deve essere sempre un multiplo o un sottomultiplo di un qualunque punto della scala diaframmale. Ciò significa che la quantità di luce che passa a f/16 è esattamente la metà di quella che passerebbe con F/11 mentre la luce che passa a f/4 è il doppio di quella che passa a f/5,6.
Il diaframma è anche direttamente legato alla qualità della nostra fotografia: realizzato con delle lamelle, è tanto migliore quanto maggiore è il numero di queste ultime: il motivo è da ricercarsi nella “forma” del foro che si forma al muoversi delle lamelle: un diaframma con 9 lamelle (il disegno sopra) permetterà di ottenere un foro abbastanza circolare. Un diaframma con un numero inferiore di lamelle produrrà necessariamente un foro “sfaccettato” che andrà ad incidere sul modo in cui la luce colpisce il sensore. Ovviamente più sono le lamelle più l’obiettivo è di qualità. Di contro, meno sono le lamelle più è facile ottenere un effetto bokeh senza dover ricorrere a degli “espedienti esterni”.
Modificare il diaframma (l’apertura) senza toccare il tempo significa non rispettare la legge di reciprocità e quindi andare a sottoesporre o sovraesporre la fotografia. Per rendere l’idea, guardiamo la serie di scatti qui di seguito:
Il diaframma: Un po’ di Storia
Passando al lato squisitamente tecnologico, il diaframma è direttamente incorporata nel barilotto dell’obiettivo. Il suo centro coincide con l’asse ottico della lente. I primi diaframmi inventati introducevano delle deformazioni nell’immagine dette a barilotto o a cuscinetto: si trattava di tappi forati al centro posti immediatamente dinanzi o dietro l’ottica. Successivamente si passò a delle lamine forate da inserire tramite una slitta nell’obiettivo, come l’esempio mostrato nella fotografia successiva:
Oggi il diaframma è sempre posto all’interno dell’obiettivo ed è costituito da un insieme di lamelle mobili in grado di fornire fori poligonali di diversa grandezza: le lamelle sono incernierate ad un’estremità mentre l’altra è in grado di muoversi, comandata da una ghiera. Tale sistema è definito diaframma ad iride. Maggiore è il numero di lamelle, migliore risulterà essere la qualità del diaframma: più lamelle = un foro che si avvicina come forma al cerchio.
Attenzione quando acquistate un obiettivo: controllate la regolarità del poligono disegnato dalle lamelle. L’anzianità di un obiettivo può incidere sulla mobilità delle lamelle quindi massima attenzione quando comprate usato. E se riuscite controllate anche che non vi siano problemi di coassialità: quando il diaframma si chiude, il centro del poligono risultante deve restare al centro dell’obiettivo e non migrare verso i bordi.
Il diaframma: La nitidezza
Il diaframma ha un impatto diretto sulla nitidezza di un’immagine. Possiamo affermare, molto in generale, che una qualunque ottica raggiunge il suo massimo grado di nitidezza quando usiamo un diaframma più chiuso di due o tre f/stop rispetto al massimo valore di apertura. Ripeto, in generale: ci sono ottiche che si comportano meglio a determinate aperture, anche magari agli estremi. La cosa migliore da fare, quando si compra un obiettivo, è quello di fare una serie di fotografie di test al fine di capire come l’obiettivo stesso si comporta alle differenti aperture.
Nella fotografia qui sopra possiamo vedere (ingrandite per vedere meglio) come si comporta l’ottica a 6 differenti aperture, ovvero f/2, f/2.4, f/3.4, f/4.8, f/6.7, f/9.5. L’ottica 35mm impiegata per l’esperimento risponde meglio all’apertura f/4.8.
Il diaframma: la profondità di campo
Anche la profondità di campo è direttamente impattata dal diaframma. Maggiore è il valore dell’apertura (ovvero di f/stop), maggiore sarà la dimensione dell’area messa a fuoco dalla macchina fotografica. Potete leggere di più nel capitolo relativo alla profondità di campo, comunque per grosse linee possiamo riassumere il legame tra profondità di campo e diaframma con il seguente disegno:
Il diaframma: aberrazione cromatica
L’aberrazione cromatica è un difetto particolarmente fastidioso ed è ancora una volta legato all’apertura del diaframma. Minore è l’apertura di quest’ultimo (diciamo circa due o tre stop), minori saranno i problemi relativi alle luci forti e minore sarà l’alone violaceo o azzurraceo che normalmente si forma intorno alle luci molto forti presenti nelle nostre immagini, come nell’esempio qui di seguito: se avessimo chiuso leggermente il diaframma avremmo limitato la sua presenza.
Il diaframma: la diffrazione
Abbiamo detto in precedenza che se si usano valori troppo spinti di f/stop la fotografia finale perde di nitidezza. Il motivo è legato alla diffrazione dei raggi luminosi. Come detto, la riduzione dell’apertura del diaframma limita il problema e viene spesso consigliato di scattare con due o tre stop dal valore limite possibile. Bisogna però fare una precisazione a tal proposito: non tutte le macchine fotografiche reagiscono allo stesso modo. Esatto, macchine fotografiche e non obiettivi: un sensore più piccolo è meno affetto dalla diffrazione, così come la diffrazione è meno evidente con macchine fotografiche con meno megapixel. Tenetelo a mente e quindi ricordatevi che, se usate una half frame, probabilmente anche solo uno stop in meno è sufficiente.
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