Nelle precedenti post abbiamo decritto le caratteristiche del diaframma, dell’otturatore e di quanto sia importante saper giocare con la coppia diaframma/otturatore.
Diaframma ed Otturatore, quindi, ci permettono di scattare le fotografie in due modalità: priorità di tempi o priorità di apertura. Modalità accessibili tramite il selettore posto sulla nostra macchina fotografica e che consentono al fotografo di modificare rispettivamente il tempo di scatto e l’apertura del diaframma, lasciando alla macchina fotografica il compito di tarare, sulla base del rapporto di reciprocità, l’altro parametro.
Ma quando va utilizzata la priorità di apertura ?
La priorità di Apertura
Sappiamo che la nostra fotocamera può lavorare con differenti valori di luminosità in funzione di quanto apriamo o chiudiamo il diaframma Possiamo far si che la quantità di luce che raggiunge il sensore sia minima o, all’opposto, che sia massima: ogni qual volta modifichiamo l’apertura del diaframma (ricordo che i valori possibili sono 1, 1.4, 2, 2.8, 4, 5.6, 8, 11, 16, 22, 32, 45, 64) si dice che aumentiamo o diminuiamo la luminosità di uno stop.
Come abbiamo visto nell’articolo relativo al rapporto di reciprocità, è possibile fare due foto con la medesima esposizione utilizzando valori “opposti” di apertura e tempi. Ma avere la medesima esposizione non significa avere due fotografie identiche, anzi. Scattare una foto con un’apertura f2.8 e f8, a parità di esposizione, produce effetti completamente differenti in quanto la messa a fuoco degli oggetti sarà differente.
Un obiettivo con un diaframma molto aperto metterà a fuoco principalmente il soggetto principale della nostra foto, sfocando il resto (come lo sfondo). Un obiettivo con diaframma molto chiuso tenderà invece a mettere a fuoco un’area decisamente più grande. Abbiamo già visto questi concetti nell’articolo relativo alla profondità di campo.
In questa fotografia sono riportati tre scatti del medesimo soggetto a differenti aperture e tempo di scatto definito in automatico dalla macchina fotografica (quindi esposizione identica nei tre casi). Si nota come non solo lo sfondo, muovendosi da destra verso sinistra, tende ad essere sempre più sfocato, ma anche come lo stesso soggetto in primo piano sia affetto da sfocatura. Osserviamo la “ciotola” appoggiata sopra la colonna: nella foto con apertura f/1.8 presenta la parte più vicina al fotografo perfettamente a fuoco mentre la parte più lontana è sfocata. Se il nostro obiettivo è fotografare tutto quell’oggetto, dobbiamo andare a settare un’apertura di f/4: in questo caso ci ritroviamo con la “ciotola” a fuoco ed il resto fuori fuoco.
La priorità di apertura è quindi consigliabile quando dobbiamo fotografare qualcosa di “statico” (il tempo può essere troppo lungo) o quando dobbiamo fare dei ritratti, ovvero quando l’importanza del soggetto in primo piano è preponderante rispetto al resto della fotografia.
Aprire troppo il diaframma però può avere dei problemi a causa della troppa luce che entra nell’obiettivo, soprattutto quando si scatta di notte o con poca luce. Considerando che la macchina fotografica fa in modo che l’esposizione di “tutta” la foto sia mediamente corretta, le luci potrebbero generare una quantità di fotoni troppo ampia da gestire dai fotositi con conseguente “strabordo” degli elettroni verso i fotositi vicini e creazione di aloni intorno alle luci (aberrazioni). Di contro, riducendo l’apertura del diaframma, si corregge l’errore di cui prima ma si possono andare a creare degli artefatti a forma di stella intorno alla luce: problema tanto più amplificato quanto meno lamelle ha il diaframma del nostro obiettivo. Occhio che questo “problema” alle volte è voluto, come nel caso del bokeh.
Nella foto di sotto vediamo i due problemi evidenziati: nella foto con f/3,5 è presente l’aberrazione cromatica intorno alla luce (l’anone azzurrognolo), nella foto con f/22 l’alone è assente ma è presente l’effetto stella. Oltre che alcuni artefatti circolari presenti sulla foto, dovuti al rimbalzo dei raggi luminosi nel nostro obiettivo.
Un ultimo problema di cui tenere in conto è la diffrazione: se chiudiamo troppo il diaframma rischiamo di far perdere nitidezza alla fotografia. Di norma viene consigliato, per una APS-C (quindi una half frame), di non superare f/11 anche se con aperture più spinte la situazione non peggiora in maniera drammatica. In soldoni, quindi, chiudendo il diaframma si guadagnerà in nitidezza della scena fino ad arrivare ad un valore massimo oltre il quale si ha un’inversione dell’effetto e l’immagine tende a perdere nitidezza.
Nelle due fotografie si riesce a notare la differenza di nitidezza tra la foto fatta a f/8 e a f/16: si tratta di una differenza minima ma pur sempre visibile ad un occhio attento.
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