Non tutte le macrofotografie sono autentiche al 100%. O meglio, non tutte le macrofotografie sono figlie di un solo scatto: negli ultimi anni e soprattutto grazie all’avvento del digitale, si è diffusa la pratica dello stacking, ovvero della sovrapposizione di più immagini per ottenere un risultato che, in altri casi, non sarebbe raggiungibile. Anche perché, come abbiamo visto nell’articolo relativo alle problematiche nella macrofotografia, non possiamo spingerci ad utilizzare un’apertura troppo spinta in quanto già a f/8 si manifestano i primi problemi di diffrazione (molto evidenti poi a f/16 su questo tipo di fotografie).
Lo stacking delle immagini, quindi, diventa importante quando abbiamo un’area di messa a fuoco particolarmente limitata, non possiamo aumentarla e non vogliamo che parti del soggetto siano fuori fuoco: per risolvere, il fotografo scatta una serie di fotografie modificando il punto di messa a fuoco “spostandolo” via via fino a coprire tutta l’area interessata. Il numero di foto dipende da quanto tempo volete poi passare il postproduzione: due scatti sono sufficienti nella maggior parte dei casi ma per soggetti da stampare in dimensioni molto generose potrebbero non bastare.
Nella serie di tre fotografie riportate qui sopra, le prime due presentano lo stesso soggetto fotografato a distanza di pochissimo tempo ma focalizzando nel primo caso sulla testa, nel secondo caso sulle ali. Il Photoshop il fotografo ha quindi unito le due fotografie ottenendo il risultato mostrato nella terza. Come si vede, la mosca non si è mossa il che ha permesso di evitare qualunque tipo di micromosso che altrimenti avrebbero invalidato il risultato finale.
Ovviamente ci sono degli accorgimenti da prendere per usare questa tenica:
- l’uso di un cavalletto pesante. Deve essere pesante.
- L’uso di un’apertura pari a f/4 è consigliata: si evita la diffrazione e la scarsa profondità di campo non ci interessa.
- l’uso di una remotizzazione di scatto
- la massima precisione e delicatezza nell’effettuare ma modifica della messa a fuoco: non dovete spostare la macchina fotografica nemmeno di mezzo millimetro (da cui il primo punto)
- Il soggetto deve essere fermo, immobile. Altrimenti tanto micromosso
Una volta effettuati gli scatti, si deve passare alla loro lavorazione. Ci sono due vie da seguire: la prima si chiama Photoshop. La seconda è data da tutta una serie di software gratuiti creati appositamente per questo scopo, come il Combine.
Sul Combine c’è ben poco da dire:il software è particolarmente intuitivo e rapido. Una volta caricate le immagini, può essere necessario aiutare il programma ad allineare le foto (di solito fa un eccellente lavoro in automatico) dopodiché lo si lascia lavorare. La facilità d’uso si sconta però con la qualità finale dell’immagine. Abbiamo lavorato con dei file Jpeg e quindi la qualità finale non può essere che inferiore a quella di origine. Ciò significa anche avere una serie di artefatti nell’immagine, artefatti che andranno corretti con un software di fotoritocco più potente: altro decadimento in qualità.
La soluzione migliore ma anche la più onerosa in termini di tempo e di abilità, è quello di usare Photoshop. Anche se il noto programma ha uno script ad hoc per lo stacking: provate ad andare su Menu File > Scripts > Load Files into Stack.
Una volta caricate le immagini, bisognerà selezionare tutti i livelli nel pannello dei Livelli. Quindi effettuare l’allineamento automatico dei livelli tramite il comando Edit > Auto-align layers. Ricordatevi, nella finestra di dialogo, si selezionare Projection: auto.
Fatta questa operazione, passiamo alla fusione dei livelli: Edit > Auto-blend layers ricordandosi di selezionareBlend Method: Stack Images.
Finita l’operazione mano alla pulizia partendo dall’eliminazione dei bordi dell’immagine e di eventuali imperfezioni.
Stacking delle immagini: Usiamo una slitta
Come scritto in precedenza, il più grande problema è il micromosso: non tanto per il soggetto (che può essere anche un oggetto inanimato) quanto per le modifiche che manualmente dobbiamo apportare sulla macchina fotografica, come la messa a fuoco o, nel caso di messa a fuoco automatica, il cambio del punto di messa a fuoco. Queste operazioni comportano un’interazione manuale sulla macchina: si potrebbe spostare, di pochissimo, la scena.
per risolvere questo problema esiste uno strumento particolarmente utile: la slitta.
Il suo funzionamento è particolarmente semplice: si tara la slitta in modo tale che la macchina fotografica abbia a fuoco la prima parte che ci interessa. Si sposta la slitta in modo tale che la macchina fotografica abbia a fuoco l’ultima parte che ci interessa. Si definisce il numero degli scatti che si vuole realizzare (sul display) e la velocità di movimento.
Si attiva quindi l’autoscatto sulla macchina fotografica o ci si prepara con il remotizzatore di scatto. Si attiva il ritorno automatico della slitta: nel suo movimento, ad ogni step, la macchina fotografica effettuerà più scatti consecutivi e la messa a fuoco sarà quindi modificata in funzione del movimento dell’intero corpo macchina piuttosto che dalla modifica manuale della ghiera di messa a fuoco.
Per maggiori informazioni circa questo prodotto, vi rimando alla pagina del produttore dove troverete anche un video dimostrativo.
Indice Speciale Macrofotografia