Occhio umano e fotocamera hanno tantissimo in comune, molto più di quanto si può immaginare vedendo una macchina fotografica da vicino. Sono infatti tantissimi i componenti di una reflex o anche di una semplice compatta che possono essere tradotti in parti del nostro occhio, a partire dalla retina. Quest’ultima è una superficie sensibile alla luce sulla quale viene impressa un’immagine capovolta: la retina fa le veci della pellicola nel mondo analogico e del sensore fotografico in quello digitale.
La messa a fuoco
Anche per la messa a fuoco troviamo un immediato parallelo tra occhio e macchina fotografica: mentre nella macchina fotografica è il complesso obiettivo ad occuparsi di mettere a fuoco un’immagine, nel nell’occhio è tutto il bulbo oculare (o meglio alcune parti di esso) che si occupano della stessa funzione. Va comunque fatto un distinguo: mentre in una macchina fotografica la messa a fuoco la si ottiene spostando degli elementi ottici più o meno vicino al sensore, nel bulbo oculare i muscoli stirano o comprimono il cristallino, facendogli cambiare forma. Volendo comunque fare un parallelo tra occhio e obiettivo, potremmo dire che il binomio cornea/pupilla corrisponde al binomio lente frontale/lente mobile dell’obiettivo: la cornea raccoglie i raggi divergenti di luce e li convoglia attraverso la pupilla.
Regolazione dell’esposizione
Un altro parallelo diretto lo abbiamo nell’ambito della regolazione dell’esposizione. Mentre nella fotocamera bisogna agire sull’apertura dell’obiettivo chiudendo o aprendo il diaframma, nell’occhio umano bisogna stringere o allargare l’iride: quest’ultima è un muscolo che, contraendosi, copre quasi tutto il cristallino riducendo o aumentando (quando si distende) la superficie di cristallino esposto ai raggi di luce e quindi la quantità di luce.
Bilanciamento del Colore e bilanciamento del bianco
Qualche differenza maggiore tra occhio umano e fotocamera la troviamo in quelli che sono fattori soggettivi per ogni individuo, come la luminosità ed il colore. O meglio, la misurazione della luminosità ed il bilanciamento del colore (incluso il bilanciamento del bianco). La percezione dei colori e della luminosità è infatti differente da individuo ad individuo ed è fortemente influenzata dal cervello, oltre che dal nostro occhio. Vi sono individui che “vedono” di più al buio rispetto ad altri (in pratica..hanno un ISO maggiore!), persone che caricano maggiormente i colori rispetto a come li potrebbe vedere qualcun altro e via discorrendo: questo perché l’occhio umano si limita a tradurre i fotoni in impulso elettrico (come fa il sensore), impulso elettrico che successivamente viene elaborato dal cervello. Se l’occhio umano è bene o male simile in tutti gli individui, il cervello no. Questi elaborerà le informazioni ricevute in funzione delle esperienze del soggetto stesso e per capire meglio questo concetto, facciamo un esempio pratico legato al bilanciamento del bianco. Supponiamo di trovarci in una giornata soleggiata, all’aperto e con in mano un foglio bianco.
Il nostro cervello tradurrà nel modo corretto la luce riflessa dal foglio permettendoci di interpretarlo come bianco. Se però ci spostiamo in una zona in penombra, la luce riflessa non sarà più bianca ma grigia…eppure noi vedremo il foglio ancora bianco. Questo perché il nostro cervello conosce il vero colore del foglio ed effettua una vera e propria correzione automatica del bianco. Lo stesso accade se lo stesso foglio lo portiamo con noi e lo esponiamo ad una lampada colorata: il nostro cervello sa nuovamente che il foglio è bianco e quindi percepiamo nuovamente il colore corretto. Ma se ci viene presentato un oggetto a noi sconosciuto (mai visto prima) sotto una luce colorata (e senza riferimenti di colore), il nostro cervello non sarà in grado di interpretare il colore vero dell’oggetto (cioè come lo vedremmo a mezzogiorno e all’aperto) ma ce lo presenterà come colorato in funzione della luce incidente. Non appena però avviciniamo a questo oggetto un altro noto, il cervello bilancerà automaticamente il bianco su quest’ultimo estendendo il risultato anche al primo.
Nel caso della macchina fotografica, tutto questo non avviene: il sensore non è in grado di bilanciare il bianco e se scattiamo una fotografia all’interno di una casa illuminata dalle vecchie lampade ad incandescenza (al tugsteno), tutto apparirà giallo. Per ovviare a questo problema, le macchine fotografiche permettono di definire, manualmente, un bilanciamento del bianco tale da correggere i colori. Bilanciamento che può essere fatto tramite delle situazioni “standard” (nuvoloso, lampade al tungsteno flash e così via) o tramite un oggetto bersaglio di colore bianco/grigio (in pratica diciamo al sensore che quell’oggetto che stiamo fotografando è bianco e che quindi deve tradurlo come tale, estendendo la correzione a tutti gli oggetti nei dintorni).
Questa correzione è però un semplice palliativo: il sensore fotografico sarà infatti in grado di effettuare un solo bilanciamento del bianco per scatto, mentre il nostro occhio ne può effettuare parecchi contemporaneamente: provate ad illuminare una scena con differenti lampade colorate (giallo, rosso e verde, per esempio). Il nostro occhio sarà in grado di bilanciare nello stesso istante tutti gli oggetti posti sotto le differenti lampade, mentre con la macchina fotografica saremo costretti a scegliere un compromesso, tipo un solo colore. In questo settore, quindi la macchina fotografica è ancora parecchio distante dall’occhio umano.
Occhio umano e fotocamera sono inoltre sensibilmente differenti nell’ambito della sensibilità alla luce: l’occhio umano non ha una sensibilità uniforme, a differenza di un sensore fotografico. Questo permette al nostro occhio di catturare molti più dettagli ed ad una definizione decisamente superiore rispetto ad una macchina fotografica.
Gli ISO
Il sensore fotografico, come detto precedentemente, ha una sensibilità uniforme alla luce. Quando abbiamo la necessità di fare fotografie in condizioni di scarsa luminosità, possiamo agire in due maniere: o cambiamo l’obiettivo oppure diciamo al sensore di aumentare la propria sensibilità, incrementando gli ISO. Questa operazione non è altro che una mera operazione matematica in quanto il sensore non ha altro che incrementare in modo proporzionale il livello elettrico del segnale generato in tutti i suoi punti. Ad ISO 100, la luce catturata viene moltiplicata per uno (quindi nessuna modifica, a ISO 200 la moltiplicazione è per due e così via. Questa operazione ha una controindicazione: il rumore. Moltiplicare un segnale elettrico non è come moltiplicare la luce che colpisce il sensore. Il sensore infatti genera a sua volta un segnale elettrico (rumore, dovuto all’alimentazione dello stesso, alla temperatura e così via), molto basso, che si somma alla luce convertito in segnale elettrico. Se ad ISO 100 questo rumore è trascurabile, quando andiamo a moltiplicarlo tende ad essere più invasivo: visivamente l’immagine catturata apparirà piena di puntini di un colore non pertinente con l’oggetto o la scena fotografata. E quei punti sono il rumore, tanto più numerosi quanto più alto è il valore di ISO.
L’occhio umano, al contrario, non vede il rumore. Perché? Perché non agisce sul segnale generato dall’occhio ed inviato al cervello bensì sull’occhio stesso, rendendo più o meno sensibili i recettori. Più o meno dopo 15 secondi di oscurità, il cervello, non vedendo nulla, incrementa i valori di rodopsina nella retina. Questo si traduce in un incremento della capacità visiva (ecco perché quando si entra in un ambiente buio bisogna attendere un pochino). Questo valore di rodopsina viene incrementato durante il tempo di permanenza nell’ambiente a scarsa luminosità al punto che, dopo circa 30 minuti, il nostro occhio sarà in grado di catturare una quantità di luce pari a 600 volte quella che catturerebbe in caso di illuminazione normale. Il tutto senza aggiungere rumore all’immagine.
In termini di ISO, se volessimo provare a convertire la nostra capacità visiva in un numero, potremmo dire che siamo in grado di applicare una moltiplicazione equivalente ISO pari a 60.000 (600 volte 100 ISO) senza aggiungere il benché minimo rumore alle immagini. Le macchine fotografiche più evolute sono in grado di spingersi ben oltre questo valore ma ad un prezzo molto alto: l’immagine è quasi inguardabile già quando si superano gli 8.000 ISO.
Conclusioni
La macchina fotografica è stata costruita usando come modello proprio l’occhio umano e cercando di replicare ogni sua caratteristica. La tecnologia, nel corso degli anni, ha permesso di fare passi da gigante ma una macchina fotografica è ancora lontanissima dall’imitare alla perfezione un occhio, sotto tutti gli aspetti. Basti pensare per esempio che il binomio occhio/cervello è in grado, senza farcene accorgere, di correggere il problema del punto cieco dei nostri occhi: un qualcosa che ancora non si riesce a replicare artificialmente.
Il punto cieco (da Wikipedia) di un occhio, per la cronaca, è quel punto della nostra retina dove non abbiamo capacità visiva in quanto, in quel punto, i fasci nervosi provenienti dalle varie zone della retina l’attraversano (per diventare il nervo ottico). In questo punto l’occhio umano è quindi cieco: eppure nessuno se ne accorge se non facendo dei particolari esperimenti, come quello di seguito.
Copritevi l’occhio sinistro con una mano. Posizionatevi a 30 centimetri dal vostro monitor. Fissate con l’occhio destro la croce a sinistra e non muovete la pupilla. Ora muovete la testa avanti ed indietro. Il punto nero alla destra scomparirà ed apparirà ad intervalli regolari!
Questo accade perché il nostro cervello compensa il punto cieco, riempiendo quella zona con le informazioni provenienti dall’altro occhio oppure, nel caso in cui solo un occhio sia aperto, dalle aree immediatamente vicine allo stesso. Insomma, una parte della scena che osserviamo è finta. Ricostruita. Stimata. Potere del nostro cervello.