Al giorno d’oggi i sensori fotografici sono capaci di catturare brillantemente una enorme gamma dinamica. Un esempio di “eccellenza” è la Nikon D810, il cui sensore raccoglie i dettagli delle ombre così bene che molti fotografi (tra cui Gore di cui abbiamo parlato nella parte 1 di questo articolo) espongono a sinistra”, o sottoespongono leggermente i propri scatti.
Il potere della post produzione: Fusione prospettica
Sul web è sicuramente facile notare scatti grandangolari caratterizzati però da grosse montagne sullo sfondo. Per quanto ad alcune persone questo tipo di immagine possa anche piacere, si tratta di un problema legato alla lente in uso. Lo stesso Ted Gore, ad esempio, per compensare la distorsione di un obiettivo grandangolare utilizza differenti lunghezze focali e le combina per superare i limiti della distorsione a cuscinetto. Ricordo, in poche parole, che questa distorsione si verifica in particolare con obiettivi grandangolari e si traduce, visivamente, negli oggetti al centro dello scatto schiacciati verso il basso: un effetto indesiderato, soprattutto sulle montagne che riempiono lo sfondo dell’immagine scattata. Se si vuole ottenere un bel primo piano con un grandangolo senza che le montagne risultino terribilmente piccole, è possibile utilizzare uno lunghezza focale differente per realizzare uno scatto e quindi fondere quest’ultimo con le immagini precedentemente catturare con lunghezze focali differenti al fine di ottenere un’immagine che rappresenta più da vicino ciò che si potrebbe vedere realmente con i nostri occhi. Nuovamente, il potere della post produzione va a modificare fisicamente ciò che si cattura, ma fa in modo di renderla più simile a ciò che l’occhio umano vede. E’ questo tipo di modifica “consentita”? Ovvero, stiamo ancora parlando di fotografia pura?
Il potere della post produzione: Focus Stacking
I nostri occhi sono capaci di mettere a fuoco rapidamente un punto rispetto ad un altro
. In una certa scena di paesaggio il nostro cervello lavora per unire piccole “occhiate” nei confronti di oggetti per comporre la scena in una singola immagine, con tutto a fuoco. Quando si lavora con un obiettivo fotografico però, non abbiamo lo stesso effetto. La messa a fuoco è limitata ad una certa area e non è possibile, con la stessa immagine, catturare tutta la scena “a fuoco”. Inoltre, quando si lavora con diaframmi molto aperti (tipo f/22) che aiutano con la messa a fuoco, subentra il problema della diffrazione che va a peggiorare la qualità finale dell’immagine catturata. Ciò che Ted Gore e molti altri fotografi fanno è scattare una serie di immagini con punti di messa a fuoco differenti (partendo dagli oggetti in primo piano fino a giungere allo sfondo della scena), utilizzando l’apertura più adatta all’obiettivo che si sta utilizzando. Il focus stacking è una tecnica che dovrebbe essere familiare o perlomeno conosciuta dai fotografi di paesaggi: si tratta inoltre di una tecnica assolutamente necessaria per realizzare dei primi piani con l’uso di un obiettivo grandangolare. Tuttavia le immagini prodotte da lenti a focale lunga possono riscontrare problemi con la profondità di campo quando si scatta attraverso strati o oggetti a distanza variabile dal punto di scatto.
Il potere della post produzione Time Stacking e Composizione
Oltre al focus stacking, l’altra tecnica molto popolare tra i fotografi quali Gore è quella del Time stacking. Come detto in precedenza, in questa tecnica si cattura la stessa scena in differenti momenti, con differenze anche di ore tra uno scatto e l’altro. Per quanto riguarda il time stacking, non esiste una precisa regola per applicarlo, tutto si riduce a ciò che vuole realmente rappresentare l’artista. Ad esempio Ted Gore non è interessato a sapere quali e quante tecniche sono state applicate per realizzare un’immagine, e non si preoccupa se il fotografo non rivela quale metodo di elaborazione è stato usato. Ma quanti la pensano come lui? Quante persone sono “disposte” a ignorare una parte così importante e pesante nella creazione dell’immagine?
Va in oltre detto che il time stacking o il focus stacking hanno come obiettivo di realizzare un’immagine più similare a quanto l’occhio umano osserva, e non snaturare l’immagine, magari combinando diversi scatti provenienti da differenti scene.
Ad esempio, Gore non avrebbe posto un lago di fronte a una montagna se non fosse realmente esistente nella realtà. Al contrario, Gore si preoccupa molto della composizione, dove l’estro dell’artista si rende visibile. Se ha ad esempio si ha un’interessante composizione ma un cielo che non è l’ideale, allora a volte ha senso (per Gore) utilizzare tecniche di elaborazione per tentare di valorizzarlo e quindi per “sostenere” meglio la scena. Ciò che Gore fa, però, è quello di minimizzare al massimo il numero di esposizioni al fine di non creare un’immagine che si discosti troppo dalla realtà.
Gore tuttavia rimane fedele all’utilizzo di esposizioni catturate nel momento dell’evento, momenti che possono variare da pochi minuti fino ad ore intere, a seconda dalle situazioni specifiche (questo lo rende molto più credibile). Inoltre Gore è più interessato a presentare ai suoi spettatori, con la sua esperienza , una location naturale piuttosto che ciò che è in grado di catturare in un fotogramma in un determinato momento (una “mera” foto). Non vedrete mai una foto di Gore che combina un tramonto con la Via Lattea o qualcosa di simile. Troppo fantasioso per i suoi gusti.
Il potere della post produzione: Regolazioni locali (scherma e brucia)
Oltre ai citati stacking, un’altra opzione molto usate in post produzione ed utilizzata dallo stesso Gore è lo strumenti di scherma e brucia, utile per conferire dimensione alla scena. L’uso dello scherma e brucia permette di ottenere una luce più accentuata e di conseguenza cambiare anche il modo con cui questa interagisce con gli oggetti circostanti. Lo scherma e brucia, nella filosofia di Gore ad esempio, è usata per sottolineare il comportamento della luce, capace di modellare un oggetto mettendolo in risalto nella scena. A suo parere l’utilizzo degli strumenti scherma e brucia danno un effetto che rende il luogo rappresentato più vicino alla realtà, proprio come se lo si stesse guardando con i propri occhi. E’ questo corretto per voi? Oppure Gore sta manipolando la realtà?
Il potere della post produzione: Tocco finale (Effetto Orton)
Gore non utilizza la luce diffusa su parti di un’immagine, piuttosto preferisce usare l’effetto Orton per aggiungere atmosfera ad una scena di paesaggio: in tal modo aumenta la sensazione di profondità e la dimensione generale. Tuttavia l’effetto Orton va utilizzato in modo mirato e con una certa parsimonia: parliamo di un processo diverso rispetto ad un normale bagliore ed il risultato potrebbe snaturare la scena stessa.
Ora, un fotografo come Gore sa bene quello che sta facendo e che non si preoccupa di ciò che gli altri pensano delle tecniche utilizzate per mostrare una scena che ha vissuto. Ma quanti fotografi sono abili o la pensano come Ted Gore? Chiaramente risulta difficile per molti di noi giudicare qualsiasi fotografia: deve essere la pura e cruda realtà oppure può essere qualcosa di più? E se forse i pionieri della fotografia e la tecnologia impiegata non avessero preteso di catturare la realtà? Senza definire cosa è la realtà e la sua natura, la fotografia deve essere considerata, per forza di cose, una forma d’arte.