La settimana scorsa, la commissione giuridica del Parlamento europeo ha approvato gli emendamenti alla direttiva dell’UE sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, che include il famigerato articolo 13.
L’articolo “stabilisce l’obbligo per i fornitori di servizi della società dell’informazione che conservano e danno accesso a grandi quantità di opere ed altri materiali caricati dai loro utenti, di adottare misure adeguate e proporzionate per garantire il funzionamento degli accordi conclusi con i titolari dei diritt d’autorei ed impedire la disponibilità nei loro servizi di contenuti identificati da questi ultimi in cooperazione con i fornitori di servizi“: in altre parole, nessuna autorizzazione da parte del titolare del copyright significa nessun diritto di visualizzazione su qualsiasi sito web o servizio dell’oggetto del contendere.
Finora, e per lo più sulla base di una legislazione statunitense denominata “safe harbor“, un sito web o un servizio che riceve contenuti dagli utenti non è responsabile se ospita contenuti protetti da copyright non autorizzati (Facebook e Google hanno più volte puntualizzato di essere una piattaforma non direttamente legata ai contenuti pubblicati dagli utenti, su cui fino ad ora ricade la responsabilità). Quindi, al momento, per le grandi piattaforme è sufficiente informare i propri utenti circa la necessità di non caricare contenuti coperti da copyright.
Questa applicazione rilassata della legge sul copyright ha permesso ad aziende come Facebook, Instagram, Pinterest, Twitter, Flickr, Tumblr e altri di creare mega aziende di contenuti senza mai pagare una tassa di licenza. Miliardi di immagini, molte protette da copyright e utilizzate senza autorizzazione, sono ciò che ha reso queste aziende grandi, permettendogli successi spaventosi. Pensate solo a Pinterest, completamente basata su immagini, molte delle quali protette da copyright. Come impatterebbe un’applicazione rigida della nuova legge sul portale?
L’Unione europea, con l’articolo 13, vuole modificare questa situazione. O almeno, ridistribuire il valore creato ai creatori di contenuti.
Questo mix di Safe Harbor, DMCA e Fair Use è anche ciò che ha permesso alla parte sociale di internet di diventare così popolare e diffusa. Scambiare idee, emozioni, opinioni e informazioni liberamente e senza soluzione di continuità utilizzando foto altrui è ormai un elemento fondamentale della comunicazione sociale online. Pensate alla foto del bimbo che piange al confine sul Messico, postata milioni di volte per puntare il dito contro la contestata legge sull’immigrazione di Trump (licenza Getty), o a tutte quelle immagini che vengono usate quotidianamente per sensibilizzare l’opinione pubblica.
Ora pensate a quanto sarebbe l’impatto (o il non impatto) se tutti coloro che vogliono condivide un’immagine del genere non potessero farlo se non pagando una licenza (o la piattaforma per voi). Certo, i detentori delle licenze sarebbero più ricche, ma le foto verrebbero viste molto meno, perdendo de facto l’impatto mediatico che spesso permette di raggiungere l’obiettivo cercato (anche grazie all’immagine menzionata sopra Trump ha modificato la legge sull’immigrazione evitando di separare i bimbi dai loro genitori).
Se un’azienda come Pinterest, ad esempio, avesse dovuto assicurarsi di avere i diritti di licenza adeguati per pubblicare tutte le immagini presenti sul portale, avrebbe chiuso dopo pochi giorni e non solo perché la sfida tecnologica per conformarsi è immensa e potrebbe richiedere anni di costruzione, ma soprattutto perché finirebbe con il pubblicare solo forse 2 o 10 nuove immagini al mese.
La sfida tecnologica per la gestione di una grande mole di immagini è immensa perché, per rispettare questa legge, le aziende dovrebbero creare un filtro che convalidi automaticamente i diritti disponibili di ogni immagine inviata per la pubblicazione. Ciò significa che tali aziende (e tutte quelle che vogliono fare questo “lavoro”) devono avere accesso ad un registro autorevole che abbia censito tutte le fotografie realizzate e abbia registrato, aggiornandoli costantemente, i relativi diritti. Registro che non solo attualmente non esistono, ma è probabilmente non realizzabile: le agenzie di fotografia stock detengono alcune centinaia di milioni di immagini nei loro archivi insieme ai diritti associati, ma questo è ben lungi dal coprire i miliardi di immagini disponibili oggi online. E con quasi 1,8 miliardi di nuove immagini caricate ogni giorno,potete immaginare quanto impossibile sua la realizzazione di un registro del genere.
Il secondo problema è identificare l’immagine. Si potrebbe in tal senso usare l’intelligenza artificiale. Si potrebbe quindi creare un “filtro” in grado di usare un algoritmo di somiglianza per individuare in modo corretto le immagini, ma abbiamo visto come i più affidabili algoritmi hanno falsi positivi che copre il 20% dei campioni. E non è pensabile che per questo 20% le aziende siano perseguibili per non aver pagato i diritti.
diritto d’autore: quale futuro per i social media?
Supponiamo che la sfida tecnologica possa essere risolta. Che l’algoritmo copra il 100% delle immagini e che tutte le immagini sono correttamente censite. Per continuare ad operare, Facebook, Tumblr, Pinterest, Flickr, Snap, Instagram e molti altri dovrebbero pagare milioni di euro per le licenze fotografiche. Le tariffe verrebbero addebitate ai loro utenti? Difficilmente questi portali copriranno i costi di tasca loro.
YouTube ha già affrontato una sfida simile quando è stato citato in giudizio più volte da media e aziende musicali per l’hosting di contenuti protetti da copyright. Google ha così creato Content ID, in grado di identificare il contenuto tramite la corrispondenza sonora. I titolari di diritti registrati possono scegliere di bloccare il caricamento o di ricevere una quota di entrate generate dalle visualizzazioni. Ma questa tecnologia non è infallibile, funziona solo per i titolari di diritti registrati e consente a YouTube di “pagare” i diritti di licenza con i soldi degli inserzionisti, soldi tolti a chi ha caricato il video (quindi per Google cambia nulla…non ci rimette un solo euro).
Ma il caso di YouTube non è ripetibile, anzi: l’emendamento dell’UE non fa distinzione tra i titolari di diritti registrati (di solito professionisti) e tutti gli altri che scattano foto.
Ma chi pagherà per il sopracitato registro? Chi pagherà per un equivalente del Content ID? Le gradi aziende (Facebook, Google…) potranno permetterselo,ma quelle più piccine? Ed infine come verrà monitorata la conformità dei siti? Di che sanzioni stiamo parlando?
Ovviamente questo non significa che quest’approccio è sbagliato, anzi: per troppo tempo le aziende hi-tech sono state in grado di costruire aziende multimilionarie sulla base dei creatori di contenuti visivi, negando loro qualsiasi indennizzo/compensazione. Nel mondo della fotografia in particolare, hanno ampiamente beneficiato della totale assenza di un’organizzazione centrale (a differenza della TV musicale o del cinema). Ed è proprio qui che l’Unione europea sta lavorando per tentare di risolvere il problema. Peccato che, al momento, stanno ignorando le sfide tecnologiche e sociali, e si stanno orientando verso un confronto distruttivo che o romperà Internet così come la conosciamo o oscurerà alcuni dei servizi più utilizzati e popolari per tutta l’Europa.